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Quasi un quarto del ghiaccio dell’Antartide occidentale è ora instabile

Scritto da Leonardo Debbia il 23.06.2019

 

Secondo un recente studio dell’Università di Leeds, Regno Unito, nell’Antartide occidentale, in soli 25 anni, la fusione del ghiaccio ad opera degli oceani avrebbe accelerato il suo corso, diffondendosi tanto rapidamente da giungere ad interessare, in questo momento, quasi un quarto dell’ intera calotta ghiacciata.

antartide

L’Antartide ha una superficie che si estende arealmente ad una certa altitudine e il suo clima è asciutto, caratterizzato da temperature estremamente basse, da venti gelidi e da freddo pungente.

Questo scenario fa pensare che il continente sia una landa desolata, stretta in una morsa di ghiaccio e neve, somigliante ad una sorta di immenso congelatore, immune dalla fusione, che interesserebbe solo le sue coste più basse e i blocchi di ghiaccio galleggianti sull’oceano tutto intorno.

Tuttavia, questa visione non è del tutto corretta.

L’acqua di fusione sta infatti producendo la riflessione della radiazione solare proprio sulla superficie del ghiaccio interno dell’Antartide e, con la formazione di stagni più grandi e più numerosi, sui bordi ghiacciati che orlano il continente.

Questo processo crea tensioni destinate a rompere le barriere di ghiaccio che ostacolano il flusso dei ghiacciai che dall’interno scorrono verso l’oceano.

Attualmente, integrando i dati delle misurazioni effettuate in 25 anni dagli altimetri installati a bordo dei satelliti dell’ Agenzia Spaziale Europea (ESA) con un modello del clima dell’intera regione, il Centro per l’osservazione polare del Regno Unito (Centre for Polar Observation and Modelling o CPOM) ha seguito le tracce dei cambiamenti nella copertura del ghiaccio di tutto il continente antartico.

Un team di ricercatori, guidato dal prof. Andy Sheperd, glaciologo dell’Università di Leeds, ha scoperto che la calotta di ghiaccio antartico si è assottigliata, giungendo, in alcuni punti, a soli 122 metri di spessore.

Questo assottigliamento è il risultato di cambiamenti verificatisi più rapidamente nella parte occidentale del continente, dove la fusione del ghiaccio ad opera del mare ha provocato uno squilibrio maggiore nella massa ghiacciata.

Il fenomeno dimostra che i ghiacciai esposti all’azione del mare sono più instabili, ovvero la quantità di ghiaccio che si scioglie è maggiore della quantità che si forma, perchè la massa cala in funzione dell’aumento della fusione del ghiaccio e della formazione di blocchi e di iceberg rispetto alla massa che viene incrementata dall’apporto delle precipitazioni nevose.

Il team ha scoperto inoltre che il diradamento dei ghiacciai non è localizzato soltanto in un’area ben specifica, ma è generale.

Secondo gli studiosi, dal 1992 ad oggi, il diradamento si sarebbe esteso sul 24 per cento della parte occidentale dell’Antartide, andando ad interessare soprattutto le più grandi correnti di ghiaccio – i ghiacciai di Pine Island e Thwaites – che stanno perdendo ghiaccio per fusione cinque volte più rapidamente di quanto si verificasse all’inizio delle osservazioni.

Lo studio, pubblicato recentemente sulla rivista Geophysical Research Letters, ha utilizzato una quantità enorme – oltre 800 milioni – di misurazioni dell’altezza della calotta antartica, registrate dagli altimetri satellitari delle missioni ERS-1, ERS-2, Envisat e CryoSat-2 tra il 1992 e il 2017,  associandole a simulazioni di precipitazioni nevose dello stesso arco temporale nel modello climatico regionale RACMO (Regional Atmospheric Climate Model).

Nell’insieme, queste misurazioni consentono di separare le variazioni dell’altezza della calotta di ghiaccio: variazioni dovute a modelli meteorologici (ad esempio meno precipitazioni nevose), e variazioni dovute a cambiamenti climatici sul lungo termine, quali l’aumento delle temperature oceaniche che sciolgono il ghiaccio.

“In alcune parti dell’Antartide la calotta glaciale si è straordinariamente assottigliata, quindi abbiamo deciso di valutare quanto questa fusione fosse imputabie ai cambiamenti climatici e quanto invece dipendesse dalle condizioni meteorologiche”, dice il prof. Andy Sheperd.

Per realizzare lo studio, il team ha confrontato le variazioni di altezza della superficie misurata con aumenti simulati durante le nevicate e, laddove la discrepamza era maggiore, ha attribuito la sua origine allo squilibrio del ghiacciaio.

E’ stato così scoperto che le fluttuazioni delle nevicate tendono a incidere sui piccoli cambiamenti in altezza su vaste aree, ma limitatamente ad alcuni anni, mentre i cambiamenti più pronunciati dello spessore del ghiaccio sono da associare a squilibri del ghiacciaio che persistono da decenni.

“Conoscere la quantità di neve caduta ha aiutato a scoprire la reale variazione del ghiaccio per mezzo del satellite”, spiega Sheperd. “Ora possiamo vedere chiaramente che il diradamento si è diffuso rapidamente in alcuni dei ghiacciai più vulnerabili dell’Antartide e che le loro perdite di ghiaccio stanno facendo salire i livelli del mare su tutto il pianeta.

“Complessivamente, le perdite di ghiaccio dell’Antartide orientale e occidentale, dal 1992 ad oggi, hanno contribuito al rialzo di 4,6 millimetri del livello marino in tutto il mondo”, conclude lo scienziato.

Il dr Marcus Engdahl, dell’Agenzia spaziale europea e coautore dello studio, aggiunge: “Questa è una importante dimostrazione del ruolo delle missioni satellitari nell’aiuto alla comprensione di come sta cambiando il nostro pianeta. Le regioni polari sono ambienti ostili, spesso difficilmente   accessibili da terra, e per questo la vista dallo spazio diventa uno strumento essenziale per evidenziare gli effetti dei cambiamenti climatici”.

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