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Le popolazioni preistoriche del Sud America furono ‘specie invasive’

Scritto da Leonardo Debbia il 29.04.2016

Quando le prime popolazioni preistoriche, sulla fine dell’Era glaciale, raggiunsero gli ampi spazi del Sud America, scoprirono un meraviglioso continente lussureggiante, abitato da ogni sorta di strane creature, dai bradipi terrestri giganti agli armadilli dalle dimensioni di una moderna automobile.

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Paesaggio collinare alle falde delle Ande nei pressi di Cusco, in Perù. (credit: Amy Goldberg / REUTERS)

Ma questi cacciatori-raccoglitori attraversarono i nuovi territori comportandosi come una ‘specie invasiva’, con un numero di individui in costante aumento, sfruttando senza limite le risorse naturali, ovviamente non illimitate, che quindi ben presto iniziarono ad esaurirsi.

Soltanto molto più tardi, quando l’aumento della popolazione cominciò a rallentare e gli insediamenti divennero fissi, prese a svilupparsi l’agricoltura, con l’inizio delle prime colture e l’addomesticamento degli animali.

Questo è lo scenario che scaturisce da uno studio effettuato da Amy Golberg, Alexis Mychajliw ed Elizabeth Hadley, tre ricercatori della Stanford University, in California, pubblicato nel corso del mese sulla rivista Nature, con cui viene fornita la visione più completa del popolamento del Sud America, l’ultimo continente abitabile colonizzato dal genere umano.

I ricercatori hanno identificato due fasi distinte della colonizzazione: la prima si svolse tra i 14mila e i 5500 anni fa, con una popolazione umana sui 300mila individui; la seconda, tra 5500 e 2000 anni fa, quando la popolazione raggiunse il milione.

“Gli esseri umani sono come tutte le altre specie invasive”, dice Elizabeth Hadly, docente di Biologia alla Stanford University. “Se abusiamo delle nostre risorse, siamo destinati al declino. Sembrano cose ovvie, ma il nostro studio dimostra che anche su vaste aree geografiche, come i continenti, gli esseri umani possono consumare troppo; e troppo in fretta”.

Gli studiosi hanno ricostruito la storia della popolazione umana in Sud America, utilizzando 5454 datazioni al radiocarbonio, effettuate su 1147 siti archeologici.

La caratteristica di questo studio è l’applicazione estesa all’intero continente – non ristretta ad un sito o ad un esiguo numero di luoghi – delle analisi sui cambiamenti ambientali e del rapporto tra la presenza degli esseri umani e il verificarsi di questi cambiamenti

E’ stato osservato che, come per tutte le altre specie animali, anche qui la crescita non è avvenuta sempre in modo incontrollato, ma si è dovuta arrendere alle condizioni delle risorse naturali, che – lo ripetiamo – non erano illimitate.

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Trasformazione del paesaggio collinare alle falde delle Ande in coltivazioni a schiera nei pressi di Cusco, in Perù.  (credit: Amy Goldberg / REUTERS)

Da una prima lunga crescita esponenziale, attorno ai 5000 anni a.C., proprio a causa dei consumi eccessivi di queste risorse, la quantità di esseri umani giunse a stabilizzarsi, attraverso la diminuzione prima e la cessazione poi, dei flussi migratori dal Nord e con l’inizio della fase stanziale e il contemporaneo passaggio all’agricoltura.

Riassumendo, la nostra specie fece la sua prima comparsa in Africa 200mila anni fa, si diffuse poi in Europa e in Asia e quindi, attraversando il ponte di terra della Beringia, che collegava la Siberia con l’Alaska e l’Asia con il Nuovo Mondo, tra i 20mila e i 15mila anni fa, iniziò ad espandersi sul continente americano.

La prima fase della colonizzazione del Sud America coincise con l’estinzione di molti animali di grandi dimensioni, tra cui i parenti di elefanti, tigri dai denti a sciabola, grandi bradipi terrestri, armadilli e uccelli non volatori.

“Durante questo periodo, gradualmente, i gruppi umani attraversarono cicli di esaurimento delle risorse vegetali e animali locali”, afferma Amy Goldberg.

Alcuni gruppi, in particolare nelle regioni delle Ande, presero ad addomesticare gli animali, a coltivare la terra e a produrre nuove colture, mentre la maggior parte rimaneva nomade.

Attraverso l’esame delle testimonianze archeologiche, i ricercatori si sono convinti che in Sud America l’instaurarsi di società stabili, sedentarie, abbia spianato la strada verso il controllo graduale dell’ambiente, favorendo, nel contempo, la loro crescita e il loro sviluppo, mettendole in grado di commerciare con altri gruppi umani nella produzione di risorse quali cibo e strumenti.

Gli esseri umani, con l’aiuto della tecnologia, hanno quindi avuto un grande vantaggio, nei confronti di altre specie invasive.

“I progressi tecnologici, siano consistiti di attrezzi di pietra o di computer, sono stati fondamentali nel contribuire a plasmare il mondo intorno a noi”, conclude Alexis Mychajliw, co-autore dello studio.

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