Quando in un ecosistema aumentano i fattori di stress per gli esseri viventi, come il calore eccessivo, la siccità, il freddo, gli esseri viventi normalmente in competizione per le risorse alimentari e il territorio attuano una serie di strategie di collaborazione.
A dimostrare questa teoria dopo anni di ricerche sul campo è Mark Bartness, professore di biologia alla Brown University e pubblicata in Trends in Ecological Evolution
Ideata negli anni ’80, ma formulata per la prima volta nel 1994, è dopo numerose ricerche condotte in tutto il mondo su piante nei più disparati habitat naturali che Bartness si sente di poterla definire non più come un’ipotesi, ma come una realtà empirica.
A suffragarla basterebbe l’osservazione anche di un semplice giardino: quello ricco di piante, dove le fronde delle une riparano dalla luce diretta e cocente i germogli delle altre, sopravvive meglio a condizioni climatiche estreme, mentre un giardino con poche piante è più vulnerabile al gelo e alla siccità.
Esempi di queste interazioni positive si trovano in tutti gli habitat naturali, dalle spiagge con spiccati fenomeni di maree, alle barriere coralline, dalle foreste tropicali a quelle boreali.
In ogni ecosistema la sopravvivenza di un individuo è messa a dura prova da numerose variabili, come le condizioni climatiche, la conformazione del suolo, le risorse alimentari e la presenza di altre specie.
Ma se fino ad ora la teoria evoluzionistica ha visto nella competizione fra specie la chiave della selezione del più adatto, con la teoria di Bartness, proprio gli agenti di stress ambientale stimolerebbero le interazioni positive rispetto a quelle negative. In pratica, davanti a situazioni critiche, l’individuo, nel caso studiato da Bartness, le piante, abbandonano le interazioni negative con altre specie in virtù di una collaborazione, come il coprirsi a vicenda dai forti raggi solari.
Questa tendenza si riscontra in quasi tutte le piante studiate dal biologo americano e il suo team, dalle alghe marine dei tropici agli arbusti della macchia mediterranea, ai boschi di conifere.
Per quanto Bartness, sottolinei che la sua teoria vada considerata come un’evidenza empirica, il dibattito scientifico rimane aperto.
Quando ancora c’è chi fatica ad accettare le teorie di Darwin, oggi ci si trova davanti ad un’altra sfida intellettuale e scientifica: l’arma per resistere alle insidie della vita non è la competizione fra specie, ma la collaborazione.
Se la biodiversità è infatti ormai assunta come parametro di misurazione dello stato di salute di un ambiente, le dinamiche celate in essa rimangono ancora da stabilire con certezza. La teoria di Darwin e degli evoluzionisti in genere tendono a vedere nella presenza di specie diverse nell’ambiente un elemento che da interazioni negative (la lotta per l’esistenza) conduce ad effetti positivi (la sopravvivenza del più adatto).
Secondo Bartness, invece lo stress provocato da difficili condizioni ambientali di fatto congelerebbe le interazioni negative e stimolerebbe quelle positive, favorendo così la sopravvivenza di tutte le specie presenti.
Questa prospettiva può avere importanti implicazioni nella ricerca scientifica e nell’ecologia.
Dal punto di vista ecologico, infatti, suggerisce una strategia di conservazione dell’ambiente che tuteli la biodiversità anche in habitat difficili, lasciando che siano le interazione fra gli esseri viventi a creare un equilibrio.