Gli scienziati della NASA e della NOAA (National Oceanic and Atmospheric Administration) hanno affermato che nel 2017 le misurazioni strumentali effettuate hanno mostrato una riduzione di dimensioni del buco dell’ozono, la rarefazione dello strato atmosferico che si verifica sull’Antartide. Le dimensioni rilevate quest’anno – sostengono – sono le più piccole mai osservate dal 1988.
Secondo la NASA, il buco dell’ozono ha raggiunto il suo massimo nel mese di settembre (7,6 milioni di Km quadrati), per poi scendere gradualmente nel mese di ottobre.
NOAA e NASA lavorano in stretta collaborazione, monitorando mediante satelliti e palloni sonda, l’aumento e la diminuzione annuale del buco nell’ozono.
Di cosa si tratta è ormai cosa nota ma vale la pena riparlarne.
Nel settembre 2016 il buco dell’ozono aveva una superficie doppia di quella degli Stati Uniti. In blu e viola, le aree dove è stato registrato meno ozono (crediti: NASA
L’ozono è una molecola composta da tre atomi di ossigeno che si forma in natura in piccole quantità. Nella stratosfera, da 7 a 25 miglia sopra la superficie terrestre, lo strato di ozono agisce come una protezione naturale, schermando la Terra dalle radiazioni ultraviolette che possono provocare tumori della pelle e cataratta, sopprimere i sistemi immunitari e danneggiare le piante.
Più vicino alla superficie terrestre, l’ozono può anche formarsi da reazioni fotochimiche tra il sole e l’inquinamento da emissioni di autoveicoli, che originano smog nocivi.
Rilevato per la prima volta nel 1985 sul Polo Sud, si presenta come un’estrema rarefazione dello strato di ozono che avvolge il nostro pianeta; che si verificava durante l’inverno tardivo dell’emisfero meridionale, dato che i raggi del sole, riflessi, agivano da catalizzatori nelle reazioni che comportavano forme chimiche attive di bromo e cloro, gas che hanno il potere di distruggere l’ozono.
Trent’anni fa, con il protocollo di Montreal, la comunità internazionale trovò un accordo per regolamentare il consumo dei clorofluorocarburi, i composti sintetici che venivano usati come refrigeranti e che rappresentavano i principali responsabili nella formazione del buco dell’ozono.
In tutti questi anni, l’assottigliamento dello strato di ozono è stato seguito con preoccupazione, per cui la recente notizia della diminuzione di dimensioni è stata accolta con ottimismo.
Ora, gli scienziati si aspettano tuttavia che solo nel 2070 il foro possa tornare alle dimensioni del 1980.
“Il buco dell’ozono è stato eccezionalmente sottile quest’anno”, conferma Paul A. Newman, studioso di Scienze della Terra presso lo Space Goddard Center della NASA a Greenbelt, Maryland.
Questo rimpicciolimento è stato fortemente influenzato da un vortice antartico instabile e più caldo, il sistema stratosferico a bassa pressione che ruota in senso orario nell’atmosfera al di sopra dell’Antartide. Questo fattore ha contribuito a ridurre al minimo la formazione di nubi polari nella stratosfera inferiore.
La formazione e la persistenza di queste nuvole sono le prime cause che agevolano le reazioni del bromo e del cloro nel distruggere l’ozono, dicono gli scienziati.
Sono condizioni somiglianti a quelle che ritroviamo sull’Artico, dove l’esaurimento dell’ozono è tuttavia molto meno grave.
Lo scorso anno, il buco dell’ozono, grazie alle condizioni stratosferiche più calde della media, ha raggiunto un massimo di 8,9 milioni di miglia quadrate, 2 milioni in meno rispetto al 2015.
Nonostante questa riduzione di questi ultimi due anni, l’area di apertura dello strato è ancora molto estesa e questo è dovuto agli alti livelli di cloro e di bromo presenti.
Gli scienziati del NOAA provvedono a controllare costantemente lo spessore dello strato di ozono, rilasciando regolarmente salire palloni-sonda fino a 21 miglia in quota e effettuando misurazioni da terra con uno strumento chiamato spettrofotometro Dobson.
“In passato abbiamo sempre notato che entro il mese di settembre i livelli di ozono andavano a zero in alcune zone della stratosfera, cosa che non si è verificata in questi ultimi due anni”, afferma Bryan Johnson, chimico dell’atmosfera del NOAA. “Quest’anno le nostre misurazioni hanno mostrato che il tasso di perdita di ozono è stato bloccato entro la metà del mese di settembre e che i livelli di ozono non hanno mai raggiunto lo zero”.
Gli scienziati sostengono tuttavia che la variabilità dell’estensione del foro durante questi due anni è una variazione naturale e non corrisponderebbe ad un segnale di vera e propria ‘guarigione’.
Nel frattempo, prendiamo nota della riduzione registrata, sperando che questo trend possa ripetersi.