Un recente lavoro pubblicato sulla rivista open-access Chemistry-Didactics-Ecology-Metrology, sintetizza in modo efficace ed interessante gli impatti che l’uomo ha prodotto sul pianeta, delineando le caratteristiche salienti dell’epoca geologica che lo vede protagonista -l’Antropocene-.
Sovrappopolazione, effetto serra, riscaldamento globale e cambiamenti climatici sono solo i più noti: la lista dei fattori che minacciano la biodiversità e la salute dell’ecosistema è ben più lunga e dibattuta. Si parla molto, ma si fa ben poco. Vertici, discussioni, incontri mondiali si concludono regolarmente con poco più che un documento siglante la messa a punto di nuove politiche e piani, mentre gli autori dell’articolo, Paul Cruzten e Stanislaw Waclawek, sottolineano la necessità di azioni immediate.
Il termine Antropocene, coniato dall’ecologo Eugene F. Stoermer, si riferisce all’epoca geologica corrente, ufficialmente conosciuta col nome di Olocene, nella quale l’uomo, come una potente forza geofisica, vince la capacità dei processi naturali nel governare il comportamento del pianeta.
Crutzen, chimico olandese vincitore nel 1995 del Premio Nobel per “gli studi sulla chimica dell’atmosfera, in particolare riguardo alla formazione e la decomposizione dell’ozono” ripercorre nell’articolo le sfide cui l’uomo dovrà inevitabilmente far fronte, e vincere, se vuole garantire la conservazione della specie.
Ridurre l’impronta umana.
Lo scorso secolo ha visto la popolazione mondiale quadruplicarsi ed oltrepassare la soglia dei sei miliardi e, parallelamente, il fenomeno dell’urbanizzazione ha conosciuto un’esplosione massiva: circa la metà della popolazione mondiale abita in metropoli e megalopoli. L’uomo ha trasformato più del 50% della superficie terrestre, e la domanda energetica è cresciuta di 16 volte nel ventesimo secolo. Il risultato, in termini di sostanze rilasciate nell’atmosfera, di più di un secolo di importante attività industriale si traduce in:
– ingenti quantitativi di anidride solforosa (SO2), rilasciata durante la combustione di combustibili fossili come carbone o petrolio, pari al doppio delle emissioni naturali, con effetti come piogge acide e rischi per la salute umana;
– massicci rilasci di monossido di azoto (NO), inevitabile sottoprodotto di qualunque combustione, e gas ad effetto serra come l’anidride carbonica, la cui presenza nell’atmosfera è aumentata nell’ultimo secolo del 40%.
La questione idrica.
L’utilizzo dell’acqua, nell’ultimo secolo, si è quasi decuplicato. Si stima che il consumo medio pro capite annuo abbia raggiunto gli 800 m3. L’uso domestico è tuttavia responsabile solo per il 10%. Le richieste maggiori arrivano dall’agricoltura e dall’industria. Per dare un’idea del consumo d’acqua che richiede la produzione di alcuni dei prodotti che quotidianamente utilizziamo, Crutzen ricorda che sono necessari 16mila litri d’acqua per produrre 1kg di carne, 20mila litri per crescere 1kg di caffè, e 5mila litri per produrre 1kg di formaggio.
Il buco dell’ozono.
Se non tutte le sostanze rilasciate nell’atmosfera sono tossiche, molte, come ad esempio i clorofluorocarburi (CFC), hanno comunque contribuito alla riduzione dell’ozono stratosferico. In questo modo è aumentata la quantità di radiazioni UV-B al suolo, e con loro, ad esempio, il rischio dell’insorgenza di tumori della pelle. Seppure i CFC non vengono più prodotti, ci calcola che ci vorranno circa 50 anni per “sanare” il buco dell’ozono.
La biodiversità.
La presenza dell’uomo ha notevolmente incrementato il tasso di estinzione di alcune specie e, contemporaneamente, influenzato il percorso evoluzionistico di altre. Questo è avvenuto attraverso l’uso di antibiotici e pesticidi, soprattutto ai danni di specie di interesse economico e commerciale: un’evoluzione accelerata che agli Stati Uniti costerebbe, secondo quanto riportato nell’articolo, dai 33 ai 50 milioni di dollari l’anno.
Erosione.
Dissodamento, messa a pascolo, costruzione: l’erosione provocata dall’uomo è quindici volte maggiore di quella naturale e si calcola che, di questo passo, il materiale risultante dall’erosione antropica riempirebbe il Grand Canyon in circa 50 anni.
Azoto e fosforo.
Se la quantità di azoto, soprattutto a partire dal 1960, è schizzata alle stelle, ci troveremo presto ad affrontare una grande crisi, quella del fosforo. Soltanto grazie ai fertilizzanti chimici è stato possibile, incrementando i raccolti, nutrire miliardi di persone. L’agricoltura moderna è totalmente dipendente dalle rocce fosfatiche per la produzione di fertilizzanti che sostengano l’odierna produzione agricola. Il fosforo, tuttavia, è una risorsa non rinnovabile e le riserve stanno diminuendo in maniera preoccupante, tanto che presto potremmo non essere più in grado di produrre ai ritmi correnti. Non solo: la lisciviazione dei nutrienti si traduce in eutrofizzazione delle acque, scarsa presenza di ossigeno e morte degli organismi viventi che abitano le acque più profonde.
E ancora: ridistribuzione delle precipitazioni, permafrost che si scioglie, acidificazione degli oceani, anomalie nelle temperature, diminuzione della calotta artica. Secondo gli autori, vivere nell’Antropocene significa costruire una nuova cultura, che lavori per, e non contro, la salute biologica del pianeta.
L’articolo è liberamente consultabile qui (in lingua inglese).