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Rallentato l’aumento di temperatura degli oceani

Scritto da Leonardo Debbia il 27.07.2015

Un nuovo studio delle temperature oceaniche mostra che negli ultimi anni il calore in eccesso causato dai gas ad effetto serra è rimasto intrappolato nelle acque di profondità degli oceani Pacifico e Indiano, diventando così elemento determinante nel rallentamento dell’incremento delle temperatura delle acque di superficie registrato negli ultimi dieci anni.

Uno strato ben distinto nella massa d’acqua degli oceani Indiano e Pacifico ubicato tra circa 90 e 300 metri di profondità avrebbe accumulato più calore di quanto finora calcolato, secondo i ricercatori del clima della UCLA e del Jet Propulsion Laboratory della NASA.

Gli studiosi hanno anche scoperto che, al contrario, questo spostamento di acqua calda avrebbe condizionato invece le temperature delle acque di superficie.

I risultati dello studio sono stati pubblicati sulla rivista Science del 9 luglio scorso.

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Rilevazione delle temperature oceaniche mediante le sonde dello ‘spiegamento Argo’ (crediti: programma ARGO)

 Nel corso del XX secolo, al crescere delle concentrazioni di gas ad effetto serra, il cui aumento tratteneva più calore sulla Terra, aumentavano conseguentemente anche le temperature della superficie terrestre.

Tuttavia, a partire dai primi anni del nuovo millennio, si registrava un’inversione di tendenza.

Anche se i gas serra continuavano a trattenere una quantità sempre maggiore di calore, la temperatura media della superficie terrestre si stabilizzava, non crescendo per circa un decennio, mentre in qualche zona accennava addirittura ad una lieve diminuzione.

Nello studio, i ricercatori hanno analizzato le misurazioni dirette delle temperature oceaniche, mediante osservazioni effettuate con una rete globale formata da 3500 sonde, rete conosciuta anche come ‘spiegamento Argo’.

Le misurazioni effettuate da queste sonde mostrano che le temperature dell’acqua marina al di sotto della superficie – come detto sopra, tra i 90 e i 300 metri – tendevano ad aumentare.

L’Oceano Pacifico è la fonte principale di acque più calde sotto la superficie, anche se una parte di queste acque ora defluisce verso l’Oceano Indiano.

Dal 2003, insoliti e forti venti alisei, unitamente ad altre caratteristiche climatiche, hanno prodotto un accumulo d’acqua a temperatura più elevata alla profondità di 300 metri nel Pacifico occidentale, formando una sorta di serbatoio tra Asia e Australia.

“Il Pacifico è divenuto così caldo che una parte dell’acqua si è riversata nell’Oceano Indiano attraverso l’Arcipelago Indonesiano”, ha detto Veronica Nieves, autore leader dello studio e ricercatrice UCLA presso il Joint Institute for Regional Earth System Science and Engineering, in collaborazione scientifica con il Jet Propulsion Laboratory della NASA.

Lo spostamento di acqua calda dal Pacifico verso Ovest ha trasportato il calore lontano dalle acque superficiali del Pacifico centrale e orientale, evento che ha abbassato le temperature di superficie, risultate insolitamente fredde durante l’ultimo decennio.

Dato che la temperatura dell’aria sul mare è strettamente correlata con la temperatura dell’oceano, questo fornisce una spiegazione plausibile della tendenza al raffreddamento globale delle temperature superficiali, a detta di Nieves.

Le temperature di superficie più fredde, tuttavia, sono anche legate ad un modello climatico chiamato ‘Pacific Decadal Oscillation’, che prevede un ciclo di 20-30 anni.

E’ stato in una fase fredda durante uno di questi periodi che le temperature di superficie hanno rivelato un raffreddamento, essendosi spostate acque più fredde del normale verso il Pacifico orientale e acque più calde verso la parte occidentale.

Al momento non c’è motivo di ritenere che questo modello possa essere cambiato, con osservazioni che rilevino la presenza di acqua più calda del solito nel Pacifico orientale.

Le pause di un decennio o più nel riscaldamento medio delle temperature di superfici degli oceani sono già avvenute nel secolo scorso, tra il 1940 e il 1970.

Concludendo, in altri termini, secondo Nieves: “Sul lungo periodo non esiste una prova evidente che il riscaldamento globale sia un processo uniforme, che avvenga senza soste”.

Il fattore clima – ci sentiamo di aggiungere – è sottoposto spesso a variabili impreviste, in correlazione con eventi la cui evoluzione presenta talvolta sviluppi inattesi.

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