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Tanistrofeo

Scritto da Andrea Maraldi il 20.10.2014

Dopo la grande estinzione che ha segnato la fine del Permiano e l’inizio del Triassico (circa 251 milioni di anni fa) spazzò via la stragrande maggioranza della vita animale sul pianeta, le poche specie superstiti si ritrovarono a dover sopravvivere in un habitat estramemente ostile, ma con così pochi competitori da potersi diffondere e diversificare in maniera rapida e capillare, ancor più di quanto accadrà poi con i mammiferi dopo l’estinzione dei dinosauri.

All’inizio del Triassico quindi la vita animale sul nostro pianeta era in uno stato di transizione, ed era possibile imbattersi in tutta una serie di… quantomeno insolite specie, che difficilmente si sarebbero evolute in un ambiente con una buona biodiversità ed equilibri naturali più “normali”. Fra di esse c’era un curioso rettile semi-acquatico: il Tanistrofeo.

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Già allora i rettili in grado di vivere in acqua non erano una novità: i più antichi risalgono al Permiano (Mesosaurus) e ce ne sono ancora persino ai giorni nostri, ma il Tanistrofeo era davvero peculiare. Innanzitutto, non siamo nemmeno sicuri che fosse un animale acquatico, o semi-acquatico, a causa della sua anatomia.

Il corpo leggero ed affusolato, unito al collo serpentino che da solo costituiva più della metà della lunghezza dell’animale (gli esemplari più grandi erano lunghi circa 3 metri), ci fanno pensare subito ad una creatura acquatica, che usava la parte anteriore del corpo come una fiocina, per fendere i banchi di pesci di sorpresa, prima che potessero rilevare il rumore e le vibrazioni prodotte dal suo corpo durante il nuoto: aveva anche un paio di corte ma robuste zampe posteriori con cui poteva sicuramente produrre una certa spinta, però ci sono due elementi fondamentali nella sua struttura corporea che hanno portato gli scienziati a formulare teorie più fantasiosi attorno al Tanistrofeo.

Innanzitutto la coda, che era l’esatto contrario del collo, corta e costituita da ossa piccole e con poca possibilità di attaccature per i muscoli nessari al nuoto, e poi soprattutto, il già citato collo: in realtà non era affatto serpentino dato che, invece di essere costituito da un gran numero di vertebre, come appunto nei serpenti o nei plesiosauri, era formato da un totale di solo una decina di vertebre cervicali, allungate a dismisura. Questo significava ovviamente che era un’apparato muscolo-scheletrico estremamente rigido, più simile alla struttura di una canna da pesca che non ad un qualcosa che consentisse all’animale di muoversi agilmente in acqua e di inseguire prede vive.

Questo ha portato alla formulazione di due teorie principali: quella che il Tanistrofeo fosse, appunto, una sorta di “canna da pesca vivente” che passava le giornate appostato sulle coste o sulle rive di specchi d’acqua, pronto a ghermire in modo rapido e silenzioso i pesci che si avvicinassero alla superficie dell’acqua nei pressi della sua piccola testa irta di denti, e quella che non fosse affatto un animale acquatico, ma un insettivoro , che restava in agguato fra la vegetazione a fusto sottile con il collo ben ritto ad angolo quasi retto, pronto ad addentare qualsiasi cosa volasse vicino alla sua bocca.

Questa seconda teoria è avvalorata anche dal fatto che i fossili di alcuni degli esemplari più grandi avessero una dentatura più “semplificata”, poco adatta alla cattura dei pesci. In ogni caso, pare improbabile che un animale come questo passasse molto tempo in movimento: quali che fossero il suo habitat e le sue prede, riusciva ad avere la meglio su di loro solo grazie a lunghi appostamenti, e non inseguendole attivamente. La sua anatomia non glielo avrebbe permesso.

Il Tanistrofeo è stato trovato in varie parti d’Europa, Italia compresa, ed in alcuni territori di Africa, Medio Oriente e Cina: grazie alla presenza di un unico continente durante il Triassico ed alla presenza di pochi predatori almeno per un certo tempo fu un animale molto diffuso e di successo. Probabilmente la sua estinzione è da imputare alla competizione con i dinosauri o con i rettili marini, a seconda di qualche fosse il suo habitat d’appartenenza.

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