Gaianews

Allarme ONU, il cambiamento climatico minaccia la pace. Vicina la ‘quarta guerra mondiale’?

Scritto da Paolo Ferrante il 21.07.2011
Camera del Consiglio di Sicurezza dell'Onu. Crediti: UNPhoto/Rick Bajornas

Camera del Consiglio di Sicurezza dell'Onu. Crediti: UNPhoto/Rick Bajornas

In un discorso ai membri del Consiglio di Sicurezza dell’ONU Achim Steiner, il vice segretario generale e direttore dell’UNEP, il programma dell’ONU per l’ambiente, ha avvertito che i cambiamenti climatici non solo minacciano l’ambiente e il benessere dell’umanità, ma rischiano di innescare una spirale di violenza in futuro per il controllo e la spartizione delle risorse naturali.

Il lungo discorso si è articolato in tre punti fondamentali, lo stato attuale della scienza del clima, la minaccia che il cambiamento climatico pone e le possibili soluzioni.

Non è cosa nuova il legame tra i cambiamenti climatici e le crisi politiche. Il grande Jared Diamond nel suo libro Collasso ha compiuto un’analisi che lascia poco al caso, in cui ha mostrato la correlazione strettissima e biunivoca tra la degradazione dell’ambiente in cui vive una società umana (del passato ma anche del presente, vedi Ruanda o Haiti) e le crisi politiche, le guerre, i genocidi, l’alto tasso di mortalità e il crollo della ricchezza pro capite.

Ora queste analisi scientifiche finalmente arrivano ai vertici più alti dell’ONU, ma non è chiaro se sia un inutile esercizio diplomatico o se qualcuno nel Consiglio di Sicurezza sia davvero intenzionato a mettere da parte gli interessi nazionali.

“La quinta valutazione dell’IPCC uscirà nel 2013/2014, ma già molte squadre di scienziati sostengono che le previsioni e gli scenari dei cambiamenti climatici futuri nella quarta valutazione dell’IPCC sono stati superati,” ha detto Steiner.

Per esempio continua Steiner – le recenti conclusioni su neve, acqua, ghiaccio e permafrost artico nel rapporto di monitoraggio dell’Artico pubblicato a maggio prevede la crescita degli oceani di circa un metro o più alla fine del secolo a causa, per esempio, del più veloce scioglimento dei ghiacci della Groenlandia.

Questo si confronta con i 0,18 – 0,59 metri che l’IPCC aveva stimato quattro anni fa.

Un aumento di un metro del livello del mare porterebbe a conseguenze disastrose, come alluvioni del 17 per cento della superficie del Bangladesh; minaccierebbe gran parte delle città costiere come Lagos, Città del Capo e alte, e travolgerebbe , attraverso le mareggiate, la piccola isola Stato delle Maldive, Tuvalu. Ma anche la nostra Venezia avrebbe ‘qualche problema’, per non parlare di Amsterdam e New York.

La diagnosi di Copenaghen del 2009, concepita come un aggiornamento sulla quarta valutazione dell’IPCC, ha identificato un aumento della temperatura entro il 2100 di ben sette gradi se non si dovessero ridurre le emissioni.

In una serie di articoli pubblicati lo scorso anno dalla Royal Society del Regno Unito, alcuni ricercatori suggeriscono uno scenario peggiore di un aumento della temperatura considerevole già nel 2060, con aumenti forse ancora più elevati in regioni come l’Europa meridionale e il Nord Africa (il deserto in Sud Italia e in Spagna?).

Un altro meccanismo che preoccupa gli scienziati è la retroazione (o feedback) che il riscaldamento climatico porta con sé. Ad esempio, lo scioglimento del permafrost nella regione artica a sua volta potrebbe innescare l’emissione di carbonio e metano immagazzinato dalla tundra durante molti milioni di anni.

Uno studio condotto da scienziati presso le università di Florida, California e Alaska ha suggerito che il cambiamento climatico incontrollato può immettere quasi 100 miliardi di tonnellate di “carbonio antico” dovuto alla fusione del permafrost entro questo secolo. Ciò avrebbe un effetto di riscaldamento pari a 270 anni di emissioni di anidride carbonica ai livelli attuali.

In relazione alla sicurezza alimentare, l’aumento della temperatura comprometterebbe circa il 65 per cento degli raccolti di mais in Africa, a causa della diminuzione delle piogge. Le conseguenze sarebbero terribili, e si pensa che la maggior parte della produzione agricola in Africa è destinata alla sussistenza degli stessi coltivatori. D’un tratto si avrebbero milioni di persone da sfamare, come avvenne in Ruanda prima della crisi tra Hutu e Tutsi, dove la crisi alimentare minò la stabilità sociale e innescò la spirale di violenza e genocidio, una delle peggiori pagine della storia recente.

Steiner cita altri preoccupanti studi sulla foresta amazzonica, come quello che suggerisce come la riduzione delle precipitazioni anche piccola metterebbe a rischio il 40% della superficie boschiva dell’area, già pesantemente minacciata dalla pressione umana, dagli allevamenti di bovini, dall’agricoltura intensiva, dalle attività minerarie, dalla costruzione di dighe artificiali e dal disboscamento.

Steiner chiede infine alle nazioni rappresentate al Consiglio di Sicurezza di agire insieme contro le minacce che il cambiamento climatico causato dall’uomo sta generando. E’ la prima volta che l’umanità ha nelle sue mani la possibilità di decidere per il proprio futuro grazie agli strumenti della scienza e della cooperazione tra i popoli, ha concluso Steiner.

Le domande che restano sono: è vero che siamo ancora in tempo per evitare un’estinzione di massa e lo scoppio della “quanta guerra mondiale”, quella combattuta con le pietre? E se siamo ancora in tempo, lo vogliamo o lo possiamo davvero fare?

© RIPRODUZIONE RISERVATA