Ipotizziamo che siate costretti, in uno sfortunato evento, di dovervi sottoporre a delle analisi genetiche. Ipotizziamo che, sottoponendovi a queste analisi, il medico possa scoprire informazioni sulla vostra predisposizione genetica riguardo ad altre malattie. Il medico in questo caso deve darvi queste informazioni? Le deve dare ai vostri familiari? Sono questioni etiche di grande portata che aprono scenari fino a poco tempo fa fantascientifici, basti pensare al film Gattaca. Ma oggi questi scenari sembrano essere ad un passo dal verificarsi. Conoscere la disposizione a sviluppare le malattie può cambiare completamente la nostra relazione con il mondo e con la nostra vita, ma anche la relazione che il mondo ha con noi. Colloqui di lavoro, assicurazioni, e perchè no, affetti, potrebbero essere segnati dalla diffusione di queste informazioni.

Scena dal film Gattaca
Negli Stati Uniti ci si interroga in questi giorni se i medici debbano obbligatoriamente rendere noti i risultati delle analisi genetiche ai propri pazienti. Secondo i bioetici che hanno pubblicato un articolo sulla rivista Trends in Biotechnology i medici non dovrebbero avere il diritto o la responsabilità di mettere a conoscenza obbligatoriamente i loro pazienti delle informazioni genomiche sui rischi per la salute. Gli esperti con questo articolo rispondono alle raccomandazioni controverse della American College of Medical Genetics and Genomics (ACMG).
“Molte persone operanti in questo campo sarebbero d’accordo sul fatto che nessuno ha il diritto tenerti segreti i tuoi dati sanitari che tu vuoi conoscere”, ha detto Megan Allyse dal Centro dell’Università di Stanford per l’Etica Biomedica. “Ma è problematico suggerire l’inverso: che il sistema medico dovrebbe cioè darti informazioni che non hai chiesto e non vuoi. Nessuno dovrebbe essere in grado di interferire con il diritto di accettare o rifiutare l’accesso alle informazioni. E’ qui che pensiamo che queste raccomandazioni siano problematiche, perché suggeriscono che il medico debba interferire nella decisione, sostanzialmente, dicendo: ‘Devi accettare queste informazioni.’ Ed è sicuro che alcune persone non vogliono informazioni sui rischi per la salute a lungo termine, specialmente nei bambini.”
Le raccomandazioni dell’ACMG sono state indotte dal crescente uso del sequenziamento del genoma per l’ assistenza medica. Una sfida nel sequenziamento di interi genomi è l’enorme quantità di informazioni che ne risulta. Per esempio, un paziente può fare un sequenziamento nel tentativo di individuare la terapia più efficace contro il cancro, ma la sequenza del genoma potrebbe contenere informazioni sul rischio di sviluppare la malattia di Alzheimer in età avanzata. E qui nascono le domande. Il medico è obbligato a dare quelle informazioni al malato? Chi decide?
L’ACMG raccomanda che chiunque subisca un sequenziamento del genoma, per qualsiasi motivo, dovrebbe essere testato anche per un elenco di condizioni clinicamente attuabili, tra cui le predisposizioni a varie forme di cancro e di cardiomiopatia, ma non per il morbo di Alzheimer. Inoltre le raccomandazioni dispongono che i medici hanno il dovere di passare le informazioni al paziente, che piaccia o no.
Secondo gli esperti un approccio del genere mina l’autonomia del paziente oltre ad essere molto costoso e non è chiaro chi poi sarebbe tenuto a sostenere questi costi.
“Per il momento la popolazione interessata è piuttosto piccola, perché poche persone sono sottoposte al sequenziamento dell’intero genoma. Ma ci sono sicuramente segnali che questa pratica è in crescita, soprattutto nella diagnosi del cancro, e quindi possiamo immaginare che la questione di come definire e riferire i risultati incidentali potrà potenzialmente riguardare sempre più persone in futuro, ” hanno concluso gli esperti.