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La tazzina di caffè e la tigre di Sumatra

Scritto da Redazione di Gaianews.it il 23.02.2012

Tigre di Sumatra Quanta deforestazione c’era dentro il caffè che avete bevuto stamane?

Una domanda che non ci si aspetta, che quando intuita sembra quasi caricarci di responsabilità sovradimensionate rispetto alle nostre frenetiche giornate lavorative. Eppure, prima o poi, i conti dei consumi del pianeta Terra dovranno essere pagati.

IL WWF insieme con SERI (Sustainable Europe Research Institute) in previsione del convegno che si terrà a Rio in giugno ha realizzato uno studio dell’impatto dei mercati sulle risorse naturali.

I dati son allarmanti: in Italia caffè, cotone, carta e olio di palma “costano” all’ambiente 8 miliardi m³ di acqua, 34,5 mln t di CO2, 8,5 mln ettari di terra, 20 mln t di materiali ‘biotici’, 36,5 mln t di materiali ‘abiotici’ per un totale di mezza tonnellata/anno di risorse per ogni italiano.

Secondo il rapporto WWF-SERI, dal 1980 al 2007 l’estrazione di risorse vergini a livello globale è passata da 15 miliardi di tonnellate a oltre 20 miliardi tonnellate annue con 35 aree prioritarie per la tutela della biodiversità individuate dal WWF , dal Mediterraneo al Bacino del Congo, dai Mari Antartici ai Mari dell’Artico fino alle Galapagos, minacciate progressivamente da attività produttive, quali allevamenti e colture estensive, sovrasfruttamento degli stock ittici e acquacoltura.

L’Italia partecipa a questa economia con alcune grandi aziende Lavazza, Zanetti e Illy per il caffè, Sofidel per l’industria tessile e Eni, Autogrill Ferrero e Barilla per l’olio di palma.

Ma quali sono i rimedi per WWF? Secondo l’Ong si dovrebbero promuovere fonti e filiere sostenibili di produzione delle risorse primarie con il coinvolgimento di imprese, istituzioni e cittadini: dall’adesione a standard di sostenibilità per l’approvvigionamento responsabile e sistemi di certificazione internazionalmente riconosciuti (come il Forest Stewardship Council-FSC) all’abolizione delle tariffe sull’importazione di materie certificate, dal trasferimento della pressione fiscale dalla forza-lavoro all’uso delle risorse naturali alle attività di policy fino al consumo consapevole.

“L’umanità ha superato i 7 miliardi di abitanti e ricava risorse naturali dalla terra per oltre 60 miliardi di tonnellate l’anno (erano 40 nel 1980, saranno 100 miliardi entro il 2030 se continuiamo su questa strada), un peso ecologico totalmente insostenibile per il futuro – ha detto Gianfranco Bologna, direttore scientifico del WWF Italia – Più che mai in una situazione di crisi economico-finanziaria che dura ormai da anni, dobbiamo dare la massima centralità al capitale naturale, alla sua cura, al suo ripristino, perché senza di esso l’intera economia mondiale non ha futuro. La Conferenza di Rio+20 sarà un momento molto importante, ed è fondamentale che istituzioni, consumatori e soprattutto imprese, dalle grandi multinazionali alle piccole e medie imprese dei nostri distretti industriali, si assumano la responsabilità di trasformare i mercati e condurli a modelli meno insostenibili, sviluppando una produzione di qualità anche sotto il profilo ambientale.”

Proviamo ora a rispondere ala domanda iniziale: cose c’è dietro la tazzina di caffè di questa mattina? Ecco i dati dello studio.
Le importazioni italiane di caffè (circa 470mila tonnellate nel solo 2008) gravano sull’ambiente con 1400 milioni di metri cubi acqua, circa 4 milioni di tonnellate di CO2-equivalenti, 1,6 milioni di ettari l’anno – ovvero più della superficie dell’intera Calabria – 700mila tonnellate di materiali biotici e 6,5 milioni di tonnellate di materiali abiotici. In generale, per produrre un chilo di caffè sono necessari 12-14 mq di terra arabile, mentre sono circa 10 milioni gli ettari di terra destinati globalmente alla coltivazione del caffè.
Tra i principali danni ambientali e sociali ci sono: il taglio delle foreste pluviali, il rischio d’estinzione per il rinoceronte di Sumatra, l’elefante indiano e la tigre di Sumatra.
In particolare nell’Isola di Sumatra l’area ricoperta da foreste è passata dal 60%, nel 1960, ad appena il 10% nel 2010.

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