I lampi di raggi gamma – o Gamma Ray Burst (GRB) – sono le esplosioni più potenti dell’universo e si pensa siano associati alla fase finale della vita di una stella di grande massa che, una volta finito il propellente nucleare, collassa sotto il proprio peso, e sono spesso associati alla formazione di buchi neri nelle galassie lontane.
In questo secondo caso, mentre il nucleo centrale si trasforma in un buco nero, si formano getti ben collimati di materiale che si muove a velocità prossime a quella della luce; questi getti attraversano la stella che sta collassando e interagiscono con il gas precedentemente espulso dalla stella stessa generando una brillante luminescenza (in gergo si chiama afterglow) che viene poi osservata alle frequenze dei raggi X, in ottico e in radio per giorni e addirittura mesi dopo il burst.
Rappresentazione del collasso di una stella massiccia in un buco nero. La stella rilascia energia nella forma di getti lungo l’asse di rotazione, generando un gamma ray burst. (Crediti:Nicolle Rager Fuller/NSF).
Il comportamento del GRB 120308A. Carole Mundell e colleghi della Liverpool John Moores University Uk, spiegano su Nature che questi eventi astrofisici estremi genererebbero dei fortissimi campi magnetici nei minuti immediatamente successivi alla loro comparsa. Questi campi sarebbero così potenti da allineare (in gergo, polarizzare) la materia espulsa durante il cosiddetto shock inverso, cioè l’onda d’urto causata dall’interazione del gamma ray burst con il mezzo circostante (l’articolo si intitola Highly polarized light from stable ordered magnetic fields in GRB 120308A).
Come spiega Maxim Lyutikov nella News&Views che accompagna il lavoro degli scienziati, quando un buco nero attira al suo interno la materia, nello stesso momento vengono compressi e amplificati forti campi magnetici che, combinati alla rotazione del buco nero stesso, danno origine alla ruota di Faraday, una specie di generatore elettrico di polarità costante, che produce grandi correnti e voltaggi. “È così, probabilmente, che si generano i gamma ray burst”, continua Lyutikov. “Il flusso di materiale espulso può raggiungere velocità estremamente alte e, nel caso di eventi che durano diversi minuti, produrre energie comparabili a quella che il Sole irradierà in tutta la sua vita”.
Quando il flusso del gamma ray burst interagisce con la materia che lo circonda avvengono due shock: uno in avanti, verso il mezzo esterno, e uno all’indietro, verso il materiale espulso. Quest’ultimo può fornire significative informazioni sul tipo di esplosione e sulla validità del modello della ruota di Faraday: se la teoria è corretta, allora il flusso deve portare con sé un campo magnetico ordinato e su larga scala. Ma finora non c’erano evidenze in merito: è qui che entra in gioco il lavoro di Mundell.
Nel loro studio, gli scienziati hanno descritto la rivelazione di un campo magnetico nel GRB 120308A, osservato usando il Liverpool Telescope, uno strumento ottico di media dimensione. Il risultato dell’équipe di Mundell è solo l’ultimo tassello di un puzzle complesso che dura da parecchi decenni di ricerche, nonostante i quali la natura dei gamma ray burst resta ancora parzialmente sconosciuta. “Lo studio attuale, comunque”, conclude Lyutikov, “conferma il modello a ruota di Faraday per il rilascio di potenti flussi astrofisici e per l’emissione di alta energia”.
Lo strano caso del GRB 130427A. Per studiare la “coda” di un GRB si può fare riferimento ad un evento noto. Il 27/4/2013 il rivelatore LAT di Fermi, il satellite della NASA, ha rilevato il GRB più energetico mai registrato. L’esplosione proveniente da una galassia distante 3,6 miliardi di anni luce, di solito è associata ad una Supernova, ma è sembrata da subito peculiare. Al punto tale che i telescopi ottici di mezzo mondo stanno cercando di capire qual è l’evento che ha dato origine al GRB e quali sono le sue caratteristiche. In un articolo intitolato Fermi-LAT Observations of the Gamma-Ray Burst GRB 130427A e che è stato pubblicato su Science Express il 21 novembre, un team di ricercatori coordinati da M. Ackermann cerca di fare chiarezza sui misteri che circondano questo fenomeno.
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(Crediti: NASA).
Il GRB 130427A ha prodotto i fotoni più energetici mai associati ad un simile evento, principalmente nella fase afterglow. Come spiegarlo? Il rivelatore LAT a bordo del satellite Fermi ha registrato fotoni fino ad energie di 94 miliardi di elettronvolt (94 GeV). Ciò suggerisce, secondo i ricercatori, l’esistenza di vincoli sulla natura di tali sorgenti astrofisiche che potrebbero rivelarsi del tutto uniche. Non solo è stato un fenomeno di imbattibile energia, ma è durato circa 20 ore, la cui analisi temporale e spettrale è una sfida per il modello ampiamente accettato negli studi di settore.
L’eccezionale emissione alle alte energie del GRB130427A è stata rivelata anche dal detector di raggi gamma GRID del nostro satellite AGILE. Il flusso al di sopra i 100 MeV è stato così potente da consentire la registrazione con le tecniche standard per l’analisi delle sorgenti gamma. Un GRB straordinario, a tutte le lunghezze d’onda: grazie all’accurata posizione derivata dal satellite Swift, che ha comunicato l’informazione agli astronomi di tutto il mondo entro pochi secondi dall’esplosione del burst, è stato infatti possibile trovarne la controparte ottica, infrarossa e radio.
Una sfida per il modello standard di spiegazione dei GRB. Come spiegare la presenza di un’emissione di alta energia non termica nella fase afterglow del GRB, e la concomitante emissione di sincrotrone irradiata da elettroni accelerati? Nel modello standard per spiegare i GRB l’onda d’urto che produce la prima luminosa emissione poi si scontra con il materiale esterno che circonda il GRB (il medium circumburst) e crea uno shock. Questi shock esterni accelerano le particelle cariche che producono fotoni attraverso radiazione di sincrotrone. Fino a che non si verifica questo scoppio, l’emissione di alta energia rilevata da LAT era stata ben descritta da questo modello, ma i restanti picchi energetici che caratterizzano GRB 130427A sfidano questo stesso modello.
In particolare, il tetto massimo di energia fotonica previsto viene superato dai fotoni ad alta energia rilevati proprio dal LAT. Nell’articolo il gruppo di ricercatori svolge una dettagliata analisi del profilo temporale delle emissioni fotoniche in modo da giungere ad una conclusione interessante: un altro meccanismo di radiazione estremo deve essere presente, come se si trattasse di un processo Compton esterno all’esplosione. Più in dettaglio, si tratterebbe di una cascata elettromagnetica indotta dalla presenza di adroni e leptoni ultrarelativistici che potrebbe essere confermata dalla concomitante presenza di neutrini, fino ad ora però non ancora rilevati. Poiché i fotoni ultraenergetici inducono cascate sia all’interno del plasma radiante che quando viaggiano attraverso lo spazio intergalattico, se vi fosse una concomitante cascata leptonica o adronica, che è una naturale estensione della shell di collisione, non sarebbe difficile spiegare l’emissione di un’energia così elevata e, in prima battuta, inspiegabile.
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