“Trovare un ago in un pagliaio” è l’espressione che il team internazionale di scienziati, impegnati nelle analisi genetiche sugli Elefanti del Borneo, ha utilizzato per definire lo studio della variabilità genetica nelle specie a rischio di estinzione.
Fonte: PLoS Biology
La variabilità genetica è definita dal numero di alleli che costituiscono il patrimonio genetico di una popolazione. Quanti più alleli sono presenti, tanto più gli individui differiranno l’uno dall’altro, maggiore sarà la variabilità di quella determinata popolazione.
Per una specie, è fondamentale presentare un pool genico (l’insieme dei geni dell’intera popolazione) ricco di forme diverse, perché l’omogeneità genetica può avere spiacevoli conseguenze: può causare malattie dovute a inincrocio tra consanguinei e limitare la plasticità della popolazione nel rispondere ai cambiamenti ambientali.
Generalmente, le popolazioni in pericolo d’estinzione sono di piccole dimensioni e, di conseguenza, presentano un basso livello di variabilità.
Quantificare la variabilità di una specie minacciata è fondamentale per attuare efficaci piani di conservazione sul medio-lungo periodo. Ad esempio, nei piani di ripopolamento faunistico, ci si dovrebbe sempre premunire di rilevare le affinità genetiche tra gli individui da introdurre e quelli già in loco: in caso contrario, infatti, si potrebbe incorrere nel rischio di inquinare entrambi i patrimoni genetici, con la conseguenza di perdere tratti peculiari o di limitare il successo riproduttivo.
Tuttavia ricavare i campioni biologici per effettuare le analisi genetiche è spesso un arduo compito, a causa delle difficoltà che si riscontrano nell’osservare e campionare i singoli individui.
Tale inconveniente, in aggiunta alla mancanza di appositi marker genetici (sequenze ripetute di DNA) che quantificassero appositamente la variabilità genetica, è stato uno dei limiti maggiori all’efficace conservazione degli Elefanti del Borneo (Elephas maximus borneensis), una sottospecie dell’Elefante asiatico.
La strada del ripopolamento con individui provenienti da altre zone del continente non è percorribile, dal momento che la sottospecie isolana ha delle peculiarità che la rendono unica: le dimensioni sono ridotte, con orecchie e coda in proporzione più grandi, le zanne sono più corte e meno curve e il temperamento è particolarmente mite.
La loro origine è incerta: da analisi mitocondriali, pare discendano dall’Elefante di Java – attualmente estinto -, da cui si sarebbero evoluti circa 300.000 anni fa. Verso il XIV secolo, poi, sarebbero stati introdotti sull’isola del Borneo come regalo del Raja di Giava al Raja del Borneo. Regali successivi avrebbero rimpinguato il ridotto numero di individui, consentendo la formazione di una vera e propria popolazione, che, una volta sull’isola, si sarebbe evoluta in maniera indipendente dalle altre popolazioni.
Dunque, per garantire alla sottospecie del Borneo un futuro lontano dal rischio di estinzione, bisognava procedere in altro modo. La svolta si è avuta quando la ricerca transnazionale, condotta da studiosi di Portogallo, Regno Unito, Malesia, Usa e Francia*, ha portato all’identificazione di marker adatti, grazie all’utilizzo di sangue proveniente da altri animali.
Il risultato – come prevedibile – ha mostrato bassa variabilità genetica per le popolazioni di elefante ancora presenti in natura. Rimangono, infatti, circa 2000 individui in libertà, per i quali poco ancora si era fatto, in termini di conservazione e studi genetici.
È la prima volta che si sperimentano tecniche di sequenziamento del DNA su specie minacciate e non valide come modelli (come i più comuni topi o i moscerini della frutta).
Il campione di elefanti da cui si sono estrapolati i risultati è molto ridotto: solo 8 individui sono stati analizzati. Tuttavia, gli scienziati ritengono che, se in futuro sarà possibile utilizzare questi metodi su differenti campioni biologici (es. peli o feci), l’ottenimento di informazioni si rivelerà più facile, solerte e sicuramente meno invasivo per le specie da analizzare.
La scoperta dei ricercatori costituisce sicuramente un grande traguardo, ma rappresenta anche un importante punto di partenza: da cui prendere il via per chiarire la storia evolutiva degli Elefanti del Borneo, per contribuire alla loro protezione e per progredire nella conservazione di altre specie minacciate.
* Sharma R, Goossens B, Kun-Rodrigues C, Teixeira T, Othman N, Boone JQ, Jue NK, Obergfell C, O’Neill RJ and Chikhi L (2012) Two Different High Throughput Sequencing Approaches Identify Thousands of De Novo Genomic Markers for the Genetically Depleted Bornean Elephant. PLoS ONE 7(11): e49533. doi:10.1371/journal.pone.0049533