Abbandonare la logica del rimedio a posteriori ai disastri ambientali e concentrarsi su quella della prevenzione: un concetto lineare, ribadito ancora una volta all’interno del volume “Il sistema ambientale italiano nel contesto del bacino Mediterraneo”, scritto a più mani e coordinato dall’architetto siciliano Giuseppe Aveni.
Oggetto dello studio è la Sicilia, che grazie alla sua centralissima collocazione geografica si configura, secondo l’architetto Aveni, come un ottimo modello di studio a partire dal quale gettare le basi per l’impostazione di una strategia diffusa e replicabile sull’intero territorio nazionale.
Il libro, attraverso il contributo di un variopinto team di esperti, affronta diverse tematiche all’origine delle criticità del nostro sistema ambientale: cambiamenti climatici, conservazione della biodiversità, difesa del suolo.
Particolare enfasi è data al tema del dissesto idrogeologico, gravosa minaccia del nostro paese rispetto alla quale l’opera si propone di individuare, attraverso procedure di analisi e monitoraggio, idee e proposte innovative per la salvaguardia del territorio.
Facendo riferimento ai risultati di recenti ricerche internazionali, il libro sottolinea, in ambito meteorologico, l’importanza e l’utilità di strumenti come radar meteo e pluviometri nella prevenzione dei danni causati dalle flash floods, precipitazioni improvvise e di notevole intensità che sempre più frequentemente si abbattono sulla nostra penisola, e sono fortemente legate al successivo manifestarsi di fenomeni di dissesto.
La messa in sicurezza della Sicilia, secondo esperti, verrebbe a costare circa 1,6 miliardi di euro. D’altra parte, stime calcolano due miliardi di euro spesi nell’ultimo biennio, senza considerare il bilancio in termini di vittime umane. Cifre da capogiro, che tuttavia il nostro paese si trova spesso ed improvvisamente a sostenere in forma rateizzata, per far fronte ai sempre più frequenti episodi di dissesto.
Prevenire il dissesto significa non soltanto predisporre adeguati piani di intervento civile e giocare d’anticipo in campo meteorologico, ma anche aumentare la capacità del sistema di resistere alla perturbazione. Notevole alleato è a questo scopo il bosco, che protegge il suolo dall’erosione, incrementa col suo apparato radicale la resistenza al taglio del terreno e rallenta la velocità di scorrimento delle acque superficiali.
Allo sviluppo di questo tema è dedicato un capitolo del libro, scritto da Angelo Merlino e Francesco Solano, dottori forestali che al tema del restauro forestale stanno dedicando il loro dottorato di ricerca presso l’Università degli Studi della Tuscia.
Gaianews.it li ha raggiunti:
D.: Qual’è lo stato attuale delle foreste in Sicilia? Ci sono aree critiche?
La Sicilia, possiede un patrimonio forestale ed ambientale unico, che secondo un rapporto coordinato da COOP Italia in Sicilia comprende il maggior numero di superfici naturali d’Italia.
I boschi rappresentano la metà della superficie forestale siciliana, per un’estensione complessiva di 258.502 ettari. Significative sono l’incidenza dei rimboschimenti, praticati nel corso del ‘900 e che da soli incidono oggi per oltre il 36% sulla superficie, e la ricolonizzazione, in tempi recenti, di aree agricole abbandonate, soprattutto frutteti. Purtroppo, circa il 27% della flora sicula è da considerare a rischio, a causa di una drastica riduzione degli habitat riconducibile a fenomeni di degrado come gli incendi reiterati, il pascolo eccessivo ed in parte oggi, i cambiamenti climatici, che portano con loro l’arrivo di nuove forme più aggressive di agenti patogeni.
D.: Esistono nel vostro territorio case studies di restauro forestale ai quali fare riferimento?
Da un punto di vista di salvaguardia ambientale e territoriale molti sforzi, anche a livello economico, sono stati fatti. Per quanto riguarda casi studio di restauro, si può menzionare un lavoro svolto dal Dipartimento “AGRARIA” dell’Università “Mediterranea” di Reggio Calabria, che ha individuato nel bosco di rovere meridionale presente nel Parco delle Madonie, delle criticità tali da dover essere sottoposto ad azioni di restauro. Queste “sollecitazioni” però non hanno avuto seguito da parte degli organi preposti. Azioni volte al all’individuazione di boschi degradati, i quali rappresentano la priorità di intervento, sono in corso anche su altre zone del territorio siciliano ed oggi, grazie a numerose iniziative di sensibilizzazione ed alla sempre maggiore consapevolezza nella comunità dell’importanza che riveste il bosco, si è siglato un protocollo d’Intesa tra la Società Italiana di Restauro Forestale (SIRF) ed il Dipartimento Regionale Sviluppo Rurale e Territoriale della Regione Siciliana Ufficio Provinciale di Messina, volto al restauro della “Faggeta di Monte Soro e Cutò”, che da anni è interessata da un deperimento diffuso causato principalmente da agenti fungini ed altri di natura antropica.
D.: Che tipo di azioni sarebbe opportuno e sostenibile attuare al fine di migliorare la funzione protettiva del bosco?
Una buona politica forestale deve affrontare anche il tema del restauro delle foreste per rispondere alle sollecitazioni che vengono dalla società e dare una risposta al degrado del territorio, che è la causa prima di numerosi danni alle persone ed alle cose. Tuttavia, il senso del restauro non può più essere liquidato con il “bisogna rimboschire” come spesso capita di sentire, perché questo significherebbe ammettere che la ricerca forestale non ha fatto progressi, non ha accresciuto conoscenze da cento anni a questa parte. Restaurare non significa ripiantare alberi, ma riavviare i processi che regolano il funzionamento di un sistema. Pertanto, sul territorio regionale sarebbe opportuno organizzare un “sistema unico” che operi e pianifichi evitando piccoli interventi sporadici e scollegati tra di loro.
Le azioni finanziabili dovrebbero essere diverse e variabili da caso a caso:restauro attivo e rinaturalizzazione dei rimboschimenti che non hanno dato esiti positivi o che sono bloccati nelle dinamiche evolutive, ripristino della funzionalità dei boschi degradati di latifoglie mediante interventi di eliminazione delle parti bruciate, tramarratura, potatura, reintroduzione di specie autoctone o reintroduzione di latifoglie autoctone nelle pinete interessate da incendi per favorire l’arricchimento della biodiversità ed il miglioramento del suolo. Infine, altrettanto importanti sarebbero corsi di formazione per incentivare una cultura di rispetto ambientale e la redazione di un “Manuale Operativo di Restauro Forestale” mirato alla situazione siciliana.