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CO2 in atmosfera, quanto ci costa non fare nulla?

Scritto da Ambrogio Ercoli il 10.01.2012
Siccità in Amazzonia nel 2009. Foto di: Bruno Kelly/A Crítica/Agência Estado

Siccità in Amazzonia nel 2009. Foto di: Bruno Kelly/A Crítica/Agência Estado

Quanto ci costa andare avanti con il paraocchi, come cavalli che trainano il carretto, senza avere il coraggio e la fantasia di guardarci intorno?

Perché, se stiamo palesemente andando verso l’autodistruzione, non cerchiamo un modo per cambiare rotta, cambiare strada al fine di evitare quel baratro che ci stiamo scavando davanti ai nostri piedi?

I costi dell’inazione, in una brutta traduzione del report dell’Agenzia Internazionale per l’Energia, riporta una serie di dati e numeri su cui riflettere; “inazione” al contrario, all’opposto dell’azione che dovrebbe essere necessaria e che è possibile intraprendere. Un gruppo di ricercatori ha analizzato quanto costa, in dollari, mantenere l’attuale modello economico e quanto ci costerebbe prendere dei seri provvedimenti e intraprendere delle reali politiche ecologiche, al fine di mantenere stabile l’attuale livello di CO2 in atmosfera.

È stato assunto il periodo temporale dal 2010 al 2030, anno in cui si prevede un rialzo termico medio rispetto all’era preindustriale di due gradi centigradi, anche se secondo alcune ricerche tale aumento sarà di quattro gradi. In questo periodo si è valutato l’impatto economico dell’attuale sistema produttivo mondiale e lo si è paragonato ad un ipotetico cambio di rotta su vie ecologiche (energie rinnovabili e maggiore risparmio energetico).

La domanda che si sono posti i ricercatori e a cui hanno cercato di dare una risposta è la seguente: è vero, come dicono molti governanti nel mondo, che la green-economy ammazza l’economia dei paesi, li fa sprofondare nella recessione condannando le popolazione alla fame e al sottosviluppo?

L’attuale sistema economico ci costa 50-200 miliardi di dollari all’anno, fino al 2030, per adattarci ai cambiamenti climatici (Es: innalzamento dei mari, rinforzo degli argini dei fiumi per le esondazioni più frequenti); 500-750 miliardi di dollari per anno, in danni diretti provocati dai cambiamenti climatici; 450-900 miliardi di dollari all’anno, per la dipendenza dai combustibili fossili, i quali, non essendo rinnovabili sono destinati ad aumentare di costo, per un aumento della domanda, per una diminuzione dell’offerta ed un assottigliamento dei margini di guadagno per il loro reperimento, per un aumento delle spese militari per la tenuta in sicurezza degli impianti.

Il totale è una cifra che si aggira tra i 1000 e i 1850 miliardi di dollari all’anno (20-37 mila miliardi di dollari per il ventennio considerato); una cifra difficile da immaginare e ampiamente sottostimata: i più ottimisti, collocano il valore reale di questa cifra, due o tre volte superiore a quanto calcolato a causa dell’approssimazione dei dati e al fatto che il consumo di combustibili fossili è valido solo per gli Stati Uniti, non si hanno dati comparabili per le altre nazioni, in primis quelle in via di sviluppo.

Investire in fonti rinnovabili e in risparmio energetico porterebbe un guadagno, secondo le stime più caute, di 6-7mila miliardi nel ventennio 2010-2030.

Da un lato si può portare avanti l’attuale politica economica e avviarci a buttare qualche migliaio di miliardi di dollari, dall’altra si può cercare una via diversa di produrre e utilizzare energia e di metterci in tasca un guadagno.

Visti i risultati della conferenza di Durban, mi chiedo se Canada e Stati Uniti abbiano mai letto il rapporto dell’AIE.

FONTE: http://iea-retd.org/wp-content/uploads/2011/11/SC6-Costs-of-Inaction-Final-Report.pdf

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