In una serie di studi pubblicati su The Lancet emerge che il controllo del virus HIV non può essere raggiunto senza un miglioramento radicale delle condizioni dei sex workers. In tutto il mondo, nei Paesi ad alto e basso reddito, donne, uomini e transgender che vendono il proprio corpo sono sottoposti a leggi repressive e discriminatorie, che rappresentano la base per le violazioni dei diritti umani nei loro confronti, compresa la violenza. Tutti questi fattori impediscono loro di accedere ai servizi di cui hanno bisogno al fine di prevenire e curare efficacemente l’infezione da HIV.
Questi lavoratori, oltre ad avere un altissimo rischio di contrarre l’HIV non hanno adeguato accesso ai sistemi di prevenzione e trattamento – l’accesso gratuito o agevolato ai preservativi, e l’accesso alla terapia antiretrovirale (ART) dopo l’infezione.
La ricerca ha inoltre dimostrato che una particolare attenzione a maggiori interventi biomedici non sarebbe comunque sufficiente a ridurre la trasmissione del virus. Un’indagine mostra infatti che solo la riduzione della violenza sessuale potrebbe diminuire i contagi di circa un quinto e il miglioramento dell’accesso alla terapia antiretrovirale potrebbe prevenire circa un terzo delle infezioni nei Paesi a basso reddito. Tuttavia lo studio dimostra che la depenalizzazione della prostituzione è l’unico sarebbe l’unico strumento per contrastare le epidemie di HIV e potrebbe evitare almeno un terzo dei contagi fra i sex workers e i loro clienti nel prossimo decennio.
Anche se i governi e le autorità statali svolgono un ruolo cruciale nel contribuire a sostenere i diritti umani e a creare ambienti che supportino gli obiettivi di salute pubblica e di riduzione dell’ HIV, spesso rappresentano un ostacolo alla protezione stessa. Nello studio, ad esempio, sono raccolte testimonianze di sex workers provenienti da Canada, India e Kenya che riferiscono di essere stati arrestati perché possedevano preservativi.
Gli studi sottolineano che gli impegni internazionali per raggiungere una generazione senza AIDS non saranno possibili a meno che i diritti umani di chi lavora con il proprio corpo ricevano un riconoscimento globale.
I programmi di prevenzione per i sex workers attualmente occupano una piccola parte del finanziamento complessivo per l’HIV, nonostante il rischio sproporzionato a cui sono esposti. Nessuna delle strategie di “prossima generazione” di prevenzione, come ad esempio la profilassi pre-esposizione (PREP) sono stati valutati specificamente per queste persone.
Secondo il professor Chris Beyrer, direttore del Johns Hopkins Center for Public Health & Human Rights, negli Stati Uniti, coordinatore dello studio, “Gli sforzi per migliorare la prevenzione e la cura dell’HIV da e per le persone che lavorano con il sesso non possono più essere visti come periferici alla realizzazione dell’accesso universale ai servizi per l’HIV e per un eventuale controllo della pandemia. Dobbiamo fare meglio, e possiamo “.