Una ricerca ha determinato la struttura chimica precisa del capside dell’HIV, un involucro proteico che protegge il materiale genetico del virus ed è una chiave per la sua virulenza. Il capside infatti è uno dei maggiori bersagli dei farmaci antiretrovirali. La ricerca è stata pubblicata sulla rivista Nature.
Crediti: Klaus Schulten/Juan Perilla
Gli scienziati hanno a lungo cercato di capire come il capside dell’HIV sia costruito. I ricercatori questa volta hanno utilizzato una varietà di tecniche di laboratorio,la crio-microscopia elettronica, la Cryo-EM tomografia, la spettroscopia di risonanza magnetica nucleare e la cristallografia a raggi X, solo per citarne alcuni, per studiare le singole parti del capside nel rivelare dettagli e per avere una visione globale.
Fino all’arrivo dei supercomputer, però, nessuno poteva essere in grado di mettere insieme l’intero capside dell’HIV – un assemblaggio di più di 1.300 proteine identiche che formano una struttura a forma di cono – in particolare a livello atomico. Le simulazioni che hanno aggiunto i pezzi mancanti del puzzle sono state condotte durante i test di Blue Waters, un nuovo supercomputer presso il National Center for Supercomputing Applications della University of Illinois.
“Questa è una grande struttura, una delle più grandi strutture mai definite”, ha detto Klaus Schulten professore di fisica presso l’università, che, con il ricercatore Juan R. Perilla, ha condotto le simulazioni molecolari con dati integrati provenienti da esperimenti di laboratorio eseguiti dai colleghi presso l’Università di Pittsburgh e la Vanderbilt University. “E’ stato molto chiaro che sarebbero necessarie una quantità enorme di simulazioni – la più grande simulazione mai pubblicata – che coinvolga 64 milioni di atomi.”
Precedenti ricerche avevano stabilito che il capside dell’HIV conteneva un certo numero di proteine identiche. Gli scienziati sapevano che le proteine sono organizzate in pentagoni ed esagoni, e hanno immaginato che i pentagoni formassero gli angoli più strettamente arrotondati della forma del capside vista al microscopio elettronico. Ma non sapevano quanti di questi blocchi di proteine fossero necessari, o come i pentagoni e gli esagoni stessero insieme per formare il capside.
Le simulazioni hanno rivelato che il capside dell’HIV conteneva 216 esagoni e 12 pentagoni disposte come i dati sperimentali avevano indicato. Le proteine che compongono questi pentagoni ed esagoni erano tutte identiche, eppure gli angoli di attacco tra di esse variavano da una regione del capside all’altra.
“Questo è davvero un mistero”, ha detto Schulten. “Come può un solo tipo di proteina formare qualcosa di tanto vario quanto questa cosa? La proteina deve essere intrinsecamente flessibile”.
I pentagoni hanno “indotto una curvatura della superficie acuta”, hanno segnalato i ricercatori, permettendo al capside di essere una struttura chiusa, che non sarebbe stata possibile se il capside fosse stato composto solo di esagoni.
Conoscere una struttura chimica dettagliata del capside dell’HIV permetterà ai ricercatori di indagare ulteriormente come funziona, con implicazioni per interventi farmacologici per interrompere tale funzione, hanno spiegato gli scienziati.
“Il capside dell’HIV in realtà ha due caratteristiche completamente opposte,” ha detto Schulten. “E’ per proteggere il materiale genetico, ma una volta che arriva nella cellula deve rilasciare il materiale genetico e questo deve accadere con ottimo tempismo. Troppo velocemente non va bene, troppo lentamente non va bene e questo è un momento in cui si può inserire uno strumento nel sistema. Alcuni dei farmaci antivirali più potenti hanno come bersaglio il capside virale, ha spiegato Schulten.