Un nuovo studio, condotto da un team di ricercatori dell’University of Wisconsin-Madison’s Waisman Center, ha rilevato come non sia chiaro, a differenza di quanto pensato finora, il legame tra una proteina – la proteina beta amiloide – tipicamente associata con la malattia di Alzheimer e il suo impatto sulle facoltà cognitive. Fare chiarezza su questo argomento potrebbe rivelare importanti informazioni sulle prime fasi della malattia neurodegenerativa. La ricerca è stata pubblicata sulla rivista Brain.
Sigan Hartley e Brad Christian, entrambi docenti presso la UW-Madison hanno esaminato il ruolo nel cervello della proteina amiloide-β negli adulti con sindrome di Down. E’ sempre stato sostenuto che questa condizione genetica renda le persone più suscettibili a sviluppare il morbo di Alzheimer, perché possiedono una copia extra del cromosoma 21, in cui risiede il gene che codifica per la proteina beta amiloide.
“La nostra speranza è quella di comprendere meglio il ruolo di questa proteina nella memoria e nelle funzioni cognitive – afferma Hartley – Con questa informazione speriamo di capire meglio le prime fasi dello sviluppo della malattia e di ottenere informazioni per guidare gli sforzi di prevenzione e trattamento”.
I risultati dello studio non solo potrebbero aiutare gli scienziati a capire meglio l’impatto che la condizione ha su coloro che vivono con la sindrome di Down, ma sono rilevanti anche per gli adulti, senza la sindrome genetica.
“Ci sono molte domande senza risposta riguardo fino a che punto la beta amiloide, insieme ad altri cambiamenti cerebrali, inizi pretendere un tributo sulla memoria e le funzioni cognitive, e perché alcuni individui possono essere più resistenti di altri”, ha continuato Hartley.
Gli scienziati hanno esaminato 63 adulti sani con sindrome di Down, di età compresa tra 30 e i 53 anni, che non presentavano segni clinici della malattia di Alzheimer o altre forme di demenza. I risultati hanno mostrato che nonostante molti adulti con sindrome di Down avessero nel cervello alti livelli di proteina beta-amiloide non hanno subìto le conseguenze negative attese proprio dalla presenza elevata della proteina.
Durante lo studio, che è stato condotto nel corso di due giorni, i ricercatori hanno usato la risonanza magnetica (MRI) e la tomografia ad emissione di positroni (PET) per catturare le immagini del cervello dei partecipanti.
I risultati hanno rilevato che ventidue dei 63 partecipanti avevano elevati livelli di amiloide-β, ma non mostravano nessun calo di funzione cognitiva rispetto a quelli senza livelli elevati di proteina. I ricercatori hanno controllato i risultati per le differenze di età e livello intellettuale. Allo stesso modo, quando valutati come misura continua, i livelli di beta amiloide non sono risultati legati a differenze di capacità di memoria o cognitive, come per esempio cambiamenti nella memoria visuale e verbale, nella capacità di attenzione e nel linguaggio.