Arriva da verme, Cearnohabtidis elegans, la possibilità di fare passi avanti nel trattamento della amiloidosi cardiaca causata da alcuni tumori del sangue. Lo studio, condotto da ricercatori italiani, è stato pubblicato sulla rivista Blood e consentirà di ottimizzare l’approccio terapeutico e minimizzare quindi i danni cardiaci.
L’amiloidosi da catene leggere delle immunoglobuline è causata da un tumore agisce sulle cellule del sangue e produce una immunoglobulina monoclonale che si deposita in diversi organi danneggiandoli gravemente. In particolare gli effetti dell’amiloidosi sono nefasti quando attacca il cuore, perchè riduce l’aspettativa di vita del paziente.
Finora la ricerca aveva dovuto scontrarsi con la difficoltà a trovare un modello animale che fosse funzionale ed è in questo che l’uso di Cearnohabtidis elegans è stato importante.
La ricerca è il frutto della collaborazione fra il Dipartimento di Biochimica e Farmacologia Molecolare (diretto da Mario Salmona) dell’Istituto “Mario Negri” e il Centro per lo Studio e la Cura delle Amiloidosi Sistemiche (diretto da Giampaolo Merlini) del Policlinico San Matteo di Pavia. Hanno collaborato a questo progetto anche ricercatori dell’Università di Milano e Torino.
“Sebbene questo nematode, che è comparso più di quattrocento milioni di anni fa, sia molto distante dai vertebrati – ha raccontato Luisa Diomede dell’Istituto “Mario Negri”- esso rappresenta un buon modello per lo studio delle malattie umane. Noi l’abbiamo usato per la prima volta per chiarire i meccanismi con cui le catene leggere delle immunoglobuline inducono cardiotossicità in quanto le cellule muscolari della faringe di C. elegans si contraggono in modo autonomo proprio come quelle del cuore umano. Abbiamo osservato che le proteine che causano danno cardiaco nei pazienti danneggiano in modo specifico la faringe del verme”.
“E’ un ottimo esempio di studio traslazionale che unisce la ricerca di base alla pratica clinica”, ha sottolineato Giampaolo Merlini.
I ricercatori hanno verificato che le osservazioni condotte in clinica con i pazienti con amiloidosi cardiaca corrispondevano sempre alle osservazioni fatti sul nuovo modello.
Perciò spiegano, i ricercatori “La possibilità di definire precocemente il potenziale cardiotossico delle immunoglobuline consente di ottimizzare l’approccio terapeutico e di prevenire i danni al cuore causati dalla amiloidosi, migliorando così la qualità e la durata della vita dei pazienti”.
Lo studio è stato supportato per il Policlinico S. Matteo dall’Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro, nell’ambito del programma speciale “5 per mille”, dal Ministero della Salute, dalla Amyloid Foundation, dalla Fondazione Mintas e dalla Fondazione Policlinico San Matteo. Per l’Istituto “Mario Negri” da Fondazione Cariplo e da Banca Intesa Sanpaolo.