Con l’intento di svelare incognite fondamentali riguardanti la storia più antica della crosta terrestre, alcuni scienziati canadesi sono riusciti a datare la roccia più antica del mondo, attribuendole 4,02 miliardi di anni.
La roccia in questione è stata scoperta durante una ricerca sul campo da Tom Chacko, un collaboratore di Jesse Reimink, geologo dell’Università dell’Alberta, durante una ricerca in una zona a circa 300 Km a nord di Yellowknife, in Canada.
Campione di roccia datata con certezza come la più antica al mondo (credit: Università dell’Alberta)
Alla luce delle analisi effettuate, forti della scoperta fatta, Reimink e il suo team ritengono che la Terra primigenia sia stata ben presto ricoperta per gran parte da una crosta superficiale molto simile alla crosta oceanica attuale.
“Dall’analisi della roccia abbiamo ottenuto informazioni importanti sulle modalità di formazione dei primi continenti”, assicura Reimink. “Risalendo così indietro nel tempo, dobbiamo necessariamente raccogliere quante più prove si possano trovare e d’altronde disponiamo di pochissimi dati con cui poter valutare ciò che stava accadendo sulla Terra in quel primo periodo della sua vita”.
Effettivamente, in tutto il mondo esistono solo tre zone in cui sono state rinvenute rocce o minerali di età superiore ai 4 miliardi di anni. Una, nel Quebec settentrionale; una seconda, dove sono affiorati grani di minerali, nell’Australia occidentale e, infine, la roccia formatasi nei Territori del Nord-ovest del Canada, oggetto di questo nuovo studio.
E’ risaputo che la formazione delle rocce più antiche risale a più di 4 miliardi di anni fa, ma la caratteristica unica della roccia esaminata da Reimink è l’associazione con grani ben conservati di zircone, un minerale la cui presenza non lascia dubbi sull’età precisa di formazione della roccia.
“Gli zirconi consentono di individuare non solo l’età, ma danno anche altre informazioni geochimiche che abbiamo potuto sfruttare in questo studio”, continua Reimink. “Roccia e zirconi rinvenuti insieme, poi, danno molte più indicazioni che non se scoperti separatamente. Gli zirconi conservano infatti la firma dell’età e la registrazione geochimica, che non viene cancellata da successivi eventi geologici, mentre la roccia registra dati chimici che gli zirconi non possono fornire”.
Lo studioso spiega che la chimica della roccia scoperta appare la stessa con cui si stanno formando le rocce nell’attuale Islanda, che rappresenta una zona di transizione tra crosta oceanica e crosta continentale.
Di fatto, l’Islanda viene ritenuta un modello di come abbia potuto iniziare il processo di formazione della crosta terrestre continentale.
“Abbiamo esaminato la roccia per analizzare quelle firme chimiche e esplorare così il modo in cui il magma si intrude nella roccia circostante”.
Un segno in particolare ha registrato la fase in cui il magma veniva assorbito dalla crosta terrestre.
“Mentre il magma si raffreddava, simultaneamente veniva riscaldato ed espanso nella roccia tutta intorno; e noi abbiamo le prove di questo processo”.
Reimink afferma che la mancanza di tracce di crosta continentale in questa roccia, diversa da quella che ci sia aspettava formasse i primi continenti, pone più domande che risposte.
Reimink afferma che una delle più grandi sfide per un geologo è costituita dal viaggio a ritroso nel tempo, dato che le prove disponibili diminuiscono man mano che si torna indietro.
“La Terra sta riciclando di continuo se stessa, la crosta viene deformata o fusa e quanto accade in precedenza viene poi cancellato o alterato”, osserva Reimink.
“La presenza di continenti sulle acque e l’esposizione all’atmosfera hanno enormi implicazioni per la chimica atmosferica e la presenza o assenza di vita. La quantità di continenti sul pianeta ha una grande influenza chimica sui processi nelle profondità terrestri (mantello e nucleo) e per la superficie terrestre (atmosfera e biosfera).
Sulla Terra c’è un rapporto costante tra chimica e geologia. Anche se esistono ancora un sacco di incognite, questo è solo un esempio che tutti i processi fisici e chimici del pianeta sono interconnessi”.
L’articolo è stato pubblicato sul numero di ottobre della rivista Nature Geoscience.