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Microbi in giro per il mondo con le tempeste del deserto

Scritto da Leonardo Debbia il 05.07.2017

La polvere sollevata in aria dalle tempeste di sabbia che si scatenano nelle zone desertiche influenza la salute delle persone e degli ecosistemi su cui va poi a ricadere.

Questo è quanto è stato osservato dai ricercatori dell’Istituto di Scienze di Weizman presso l’Università di Israele, anche se è stato puntualizzato che una parte dell’effetto non è dovuto tanto alle particelle di polvere, quanto piuttosto ai batteri che utilizzano le polveri come vettori, riuscendo così a muoversi, in sospensione nell’aria, su grandi distanze.

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Alcuni di questi batteri (qualcuno ritiene solo un 5 per cento) possono essere patogeni; dannosi per noi e per l’ambiente. Taluni  potrebbero trasportare anche geni che incoraggiano la resistenza agli antibiotici; altri potrebbero intervenire su determinati processi dell’ecosistema, quali la fissazione dell’azoto.

Il professor Yinon Rudich e il suo team, di cui facevano parte i ricercatori Daniela Gat e Yinon Mazar, del Dipartimento di Scienze della Terra di Weizman; il microbiologo Eddie Cytryn, del Volcanic Center presso l’Istituto di Scienze ambientali; Yigal Erel dell’Università Ebrea di Gerusalemme, hanno esaminato attentamente la genetica dei batteri trasportati dal vento insieme alla polvere.

“Abbiamo analizzato il microbioma giunto con la polvere desertica”, conferma Rudich. “Il microbioma di una tempesta originatasi nel Sahara è infatti diverso da quello che viaggia con i venti che soffiano dai deserti sauditi o siriani e noi quindi possiamo valutare e definire accuratamente le differenze di composizione tra la popolazione batterica e le condizioni ambientali esistenti in ciascuna zona”.

I ricercatori hanno scoperto che durante una tempesta di polvere la concentrazione dei batteri e il numero delle specie batteriche presenti nell’atmosfera aumentano notevolmente, di modo che gli esseri viventi che si trovano coinvolti da queste tempeste risultano esposti a una quantità enorme di microrganismi.

Rudich e il suo team hanno poi analizzato i geni presenti in questi batteri, controllandone la resistenza agli antibiotici; un problema che è legato all’elevato consumo di antibiotici, ma che può anche avvenire naturalmente, soprattutto per quanto riguarda i batteri del suolo.

La resistenza agli antibiotici è stata definita dall’Organizzazione Mondiale della Sanità ‘una delle principali sfide globali alla salute del 21° secolo’ e il suo principale motivo è stato ritenuto l’uso eccessivo degli antibiotici.

Ma i batteri possono anche essere più forti dei geni per la resistenza agli antibiotici, per cui ogni fonte di resistenza non può essere che preoccupante.

In Israele, vista la posizione geografica del paese, attorniato com’è da zone desertiche, sono numerosi i geni in arrivo, trasportati dalle varie tempeste di polvere provenienti dai deserti del Sahara, dell’Arabia Saudita e dalle aride distese della Siria.

Rudich afferma che lo studio ha consentito di identificare una ‘firma’ per ogni fonte di batteri, basata sulla prevalenza dei geni resistenti agli antibiotici, connotazione che ha rivelato se i geni erano ‘locali’ o importati da altri deserti.

“Abbiamo scoperto che quanta più mescolanza avviene tra la polvere locale e quella che viene da lontano, tanto minore è l’impatto dei geni resistenti agli antibiotici di provenienza esterna”.

In altre parole, sembrerebbe che la resistenza antibiotica proveniente dall’Africa o dall’Arabia Saudita sia ancora una minaccia molto minore rispetto a quella causata e diffusa dall’attività umana, in particolare in campo zootecnico.

Detto questo, rimane comunque il fatto che le polveri dei deserti vanno coprendo grandi distanze e notevoli superfici, non risparmiando neppure i poli.

E’ del marzo di quest’anno la notizia, pubblicata sulla rivista scientifica Microbiome, che un gruppo di ricerca di studiosi di varie discipline, appartenenti a più Enti (Fondazione Edmund Mach, in Alto Adige, Istituto di Biometeorologia del CNR e Università di Firenze, di Venezia e di Innsbruck) ha scoperto sulle nostre Alpi intere comunità di batteri e funghi provenienti dalle sabbie del Sahara.

Due anni prima era stata segnalata la presenza del DDT, usato in Africa contro la malaria, nel grasso degli orsi polari, anche se si ammetteva che gli scienziati, pur trovando batteri vivi e virus di origine ‘esogena’, non erano ancora in grado di creare un collegamento chiaro e definitivo tra la loro presenza nelle sabbie desertiche e l’insorgenza di malattie negli umani.

Con lo studio di Rudich si apre uno spiraglio su come possa essere influente questo probabile collegamento.

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