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Nel mantello terrestre il contenuto di carbonio non è affatto uniforme

Scritto da Leonardo Debbia il 27.01.2017

Anche se il carbonio è uno degli elementi più abbondanti della Terra, in realtà è molto difficile determinare quanto ne esista al di sotto della superficie terrestre, nelle viscere del nostro pianeta.

Gli esperti in geochimica planetaria Marion Le Voyer e Erik Hauri, su incarico della Carnegie Institution for Science, hanno analizzato alcuni cristalli contenenti magma che proveniva dal mantello terrestre, scoprendo, conservata all’interno di questi, una quantità di carbonio doppia rispetto ad altri cristalli aventi la medesima origine, ma provenienti da regioni diverse del mantello.

I risultati delle analisi condotte sono stati resi noti su Nature Communications.

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Inclusione magmatica profonda in una matrice olivinica solidificata (credit: Marion Le Voyer)

In genere, al di sotto della crosta terrestre si verificano molti processi chimici che coinvolgono il carbonio, ma di cui si ha una conoscenza alquanto limitata.

Più particolarmente, per decenni nella comunità scientifica si è ampiamente discusso sulla reale quantità di carbonio che si riteneva fosse presente nel mantello terrestre.

Questo argomento è di notevole interesse perché il carbonio del mantello è alla base di molti processi del nostro pianeta, tra cui le modalità di innesco dell’attività vulcanica e il sostentamento della biosfera.

La catena degli eventi interessati include anche la nostra atmosfera, allorché questa si arricchisce dell’anidride carbonica rilasciata dalle eruzioni vulcaniche, fenomeno che ha avuto un ruolo estremamente rilevante nelle variazioni climatiche del passato.

E’ tuttavia molto difficile determinare con esattezza la quantità di carbonio effettivamente presente sotto la superficie terrestre. Gli scienziati possono studiare le rocce ignee che si sono formate dalla fusione di piccole regioni del mantello, giungendo in superficie attraverso il magma delle eruzioni e poi cristallizzate in superficie come rocce basaltiche.

Tuttavia, durante il processo di risalita del magma e la successiva fase eruttiva, gran parte del carbonio contenuto nel magma va a formare anidride carbonica, cioè gas, e questa reazione chimica rende le rocce basaltiche più povere di carbonio.

In altre parole, la quantità di carbonio dei basalti è minore del carbonio presente nel composto di partenza.

“Questo è quanto accade ad opera delle eruzioni esplosive”, spiega Hauri. “L’improvvisa perdita di gas che, prima dell’eruzione, era disciolto nel magma ad alta pressione, durante la fase eruttiva subisce una trasformazione e nel basalto solidificato non rimane alcuna traccia della quantità di carbonio presente in origine”.

Ma Le Voyer, Hauri e il loro team non si sono accontentati di questa spiegazione e sono passati ad analizzare alcuni campioni di basalto originatosi dall’attività effusiva della dorsale medio-atlantica. E in questa roccia hanno scoperto piccole inclusioni magmatiche che non erano mai state studiate prima; piccole sacche di magma originario rimaste intrappolate all’interno di alcuni cristalli che le avevano protette dal processo di degassamento durante la risalita del magma e la successiva eruzione.

Le analisi condotte hanno dimostrato che queste inclusioni avevano intrappolato e conservato il loro contenuto originario di carbonio, anche dopo essere state eruttate sul fondale oceanico.

“Questa è solo la seconda volta che campioni di magma del mantello, con il loro contenuto originario in carbonio, siano mai stati rinvenuti e analizzati, arricchendo la nostra conoscenza della chimica della Terra”, afferma Hauri.

I primi campioni contenenti carbonio proveniente dal mantello e rinvenuti sul fondo del Pacifico erano infatti stati studiati dallo stesso Hauri e dal professor Alberto Saal, della Brown University, nel 2002.

Il confronto dei dati forniti dalle due diverse campionature ha rivelato che il contenuto di carbonio del mantello è molto meno uniforme di quanto gli scienziati avessero previsto in precedenza, variando di ben due ordini di grandezza in due zone differenti del mantello.

“Scoprire che il carbonio del mantello ha una distribuzione più complessa di quanto si fosse mai pensato prima ha molte implicazioni sulla variabilità dei processi che si svolgono nel mantello, a seconda di quale sia la regione interessata da questi processi”, conclude Le Voyer.

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