Gaianews

Il DNA antico racconta la storia delle migrazioni umane

Scritto da Leonardo Debbia il 12.03.2018

Un tempo gli scienziati potevano ricostruire il passato dell’umanità soltanto attraverso le testimonianze di antichi insediamenti, di ossa fossili e di artefatti.

Oggi, l’avvento della Genetica e l’esame del codice genetico dei nostri progenitori consentono un nuovo modo di investigare sulla storia umana antecedente l’avvento della scrittura.

“La messe di informazioni genetiche aiuta la crescita del campo di ricerca del DNA antico”, afferma David Reich, ricercatore presso l’Howard Hughes Medical Institute presso la Harvard Medical School di Boston, USA.

Vaso stilizzato campaniforme di Sierentz (Francia), tipico della cultura del Bell Baker (crediti: Anthony Denaire)

Vaso stilizzato campaniforme di Sierentz (Francia), tipico della cultura del Bell Baker (crediti: Anthony Denaire)

Le sue ricerche, unitamente ad altri specialisti del settore, aprono nuovi scenari in cui i nostri antenati non sono visti come individui sparsi alla rinfusa sul territorio, come si pensava un tempo.

“Era opinione diffusa che la migrazione costituisse un evento alquanto raro, nell’evoluzione umana”, spiega Reich. “L’antico DNA testimonia chiaramente che non era così. L’assunto che l’umanità attuale discenda da individui vissuti sempre nella stessa regione è sbagliato”.

L’ipotesi che sta emergendo – e della quale Reich è un convinto sostenitore – è che le antiche popolazioni, invece, si siano mosse e mescolate in continuazione, come sostiene John Novembre, biologo computazionale dell’ Università di Chicago.

Reich e decine di suoi colleghi sottolineano la diffusione di una cultura, conosciuta per i suoi vasi stilizzati a forma di campana, la cosiddetta Bell Beaker o ‘cultura del vaso campaniforme’, che nella tarda età del rame (2600 – 1900 a.C.), si diffuse tra la Penisola Iberica e l’Europa centrale.

La cultura di Bell Beaker raggiunse anche la Gran Bretagna, circa 4500 anni fa, importata da migranti che, nell’arco di poche centinaia d’anni, soppiantarono quasi completamente gli antichi abitanti dell’isola, la misteriosa popolazione che aveva eretto Stonehenge.

“La popolazione della Gran Bretagna subì una sostituzione improvvisa e quasi completa”, sostiene Reich.

Questi risultati, confermati dallo studio del DNA antico, sono “assolutamente strabilianti”, secondo l’archeologo Barry Cunliffe, docente all’Università di Oxford.

Si consideri poi il movimento di popoli che originariamente vivevano nelle steppe dell’Asia centrale, a nord del Mar Nero e del Mar Caspio.

Circa 5300 anni fa le culture locali di cacciatori-raccoglitori furono sostituite in molti luoghi da pastori nomadi, chiamati Yamnaya, che, sfruttando i cavalli e l’invenzione del carro, si espansero rapidamente, lasciando caratteristiche sepolture.

Si sapeva da tempo che alcune delle tecnologie utilizzate dai Yamnaya furono adottate in Europa, ma il DNA antico rivelò anche, sorprendentemente, che quella popolazione si espanse fino alla costa atlantica dell’Europa a ovest, in Mongolia ad est ed in India al sud.

Questa ampia migrazione spiega la diffusione delle lingue indoeuropee e la sostituzione significativa dei geni locali dei cacciatori-raccoglitori in Europa con la firma indelebile del DNA delle steppe, come accadde in Gran Bretagna con l’arrivo sull’isola della cultura Bell Baker.

“Neppure gli archeologi più fantasiosi si aspettavano un contenuto genetico della steppa così elevato nelle popolazioni del nord Europa, durante il terzo millennio a.C.”, commenta Cunliffe.

Secondo il prof. Novembre, dell’Università di Chicago, il DNA antico spiega anche lo ‘strano risultato’ del legame genetico, prima soltanto ipotizzato, tra i genomi degli europei moderni e dei nativi americani.

Questo legame è l’eredità di individui, viventi in Siberia 24mila anni fa, il cui DNA si ritrova sia nei nativi americani, sia nelle popolazioni Yamnaya della steppa, sia nei loro discendenti europei.

Un recente articolo di Reich su Nature sulla storia genomica dell’Europa sud-orientale rivela un’ulteriore migrazione collegata alla diffusione dell’agricoltura in tutta Europa, basata sui dati genetici di 225 individui vissuti tra 14mila e 2500 anni fa.

Questi progressi scientifici sono stati il frutto di tre fattori-chiave di sviluppo.

Il primo è la drammatica riduzione dei costi (e l’aumento della velocità delle analisi) del sequenziamento dei geni, reso possibile da compagnie di ricerca come Life Technologies e Illumina.

Il secondo è una scoperta di Ron Pinhasi, archeologo dell’Università di Dublino, secondo cui l’osso petroso, contenente il minuscolo orecchio interno, contiene 100 volte più DNA di altri resti umani antichi, offrendo un’enorme quantità di materiale genetico per le analisi.

Il terzo è un metodo implementato da Reich per leggere i codici genetici di 1,2 milioni di parti variabili del DNA attentamente selezionate, piuttosto che dover sequenziare interi genomi.

Ora, con centinaia di migliaia di antichi scheletri (e le loro ossa petrose) ancora da analizzare, il campo del DNA antico è pronto per rispondere alle domande sul tavolo e per affrontarne di nuove.

Lo studio del DNA antico, poi, permette di studiare non solo gli spostamenti dei nostri antenati, ma anche l’evoluzione dei tratti anatomici e la predisposizione a varie patologie.

“Il DNA antico sta per rivitalizzare l’archeologia come nessuno di noi avrebbe sperato, soltanto dieci anni fa”, conclude Cunliffe.

© RIPRODUZIONE RISERVATA