Cosa può rivelare di nuovo il DNA di uno scheletro umano di 2330 anni fa, rinvenuto nell’angolo più meridionale dell’Africa? Molto, dato che si tratterebbe di uno dei più antichi resti umani – in termini genetici – ad ‘aver deviato’ dal comune antenato materno, la famosa ‘Eva primordiale’.
Lo scheletro è stato trovato in una zona del Sud Africa in cui si pensa che gli esseri umani moderni abbiano avuto la loro origine, 200mila anni fa.
Resti dello scheletro rinvenuto a St.Helena Bay, Sud Africa nel 2010 (crediti: Chris Bennett)
E’ risaputo che il DNA mitocondriale è quello che viene trasmesso, dalla madre al figlio, di individuo in individuo, attraverso le linee genetiche femminili.
Ormai è stato accertato che la nostra ‘Eva mitocondriale’, la nostra madre comune da cui tutti noi siamo discesi, sia nata in Africa.
Quando l’archeologo Andrew Smith, dell’Università di Città del Capo, scoprì nel 2010 uno scheletro nella baia di St. Helena, in Sud Africa, molto vicino alle antiche ‘orme di Eva’, risalenti a 117mila anni fa, ne informò immediatamente la dott.ssa Vanessa Hayes, dell’Istituto di ricerca medica di Garvan, in Australia, esperta di genomi africani.
Lo scheletro venne esaminato dal prof. Alan Morris, dell’Università di Città del Capo e risultò appartenere ad un individuo, alto un metro e mezzo, dell’età di circa cinquant’anni.
Da alcune caratteristiche anatomiche – conformazione dell’orecchio con una crescita ossea tipica dei moderni ‘surfisti’, segno evidente di frequenti immersioni in acque fredde, e dall’esame della dentatura, che appariva in condizioni perfette, senza zucchero naturale tra i denti – l’individuo venne classificato come un ‘cacciatore-raccoglitore marino’.
Per il sequenziamento del DNA antico, gli studiosi si rivolsero all’Istituto ‘Max Planck’ di Lipsia, in Germania, il miglior laboratorio al mondo in materia, che dal DNA di un dente e di una costola ha ricostruito il relativo genoma mitocondriale completo dello scheletro.
La ricostruzione accurata del DNA ha portato gli studiosi alla conclusione che lo scheletro rinvenuto sia appartenuto probabilmente ad un membro del primo gruppo etnico di esseri umani divergenti dal comune antenato materno, la ‘Eva primordiale’, che risulta condiviso da tutti gli esseri umani.
Vanessa Hayes precisa: “Questo individuo viene dal primo ramo, che divergeva probabilmente attorno ai 150-170mila anni fa”.
“Il ritrovamento in questione” – prosegue la Hayes – “fa presumere che probabilmente l’individuo appartenesse ad una stirpe che si interruppe presto nella evoluzione umana moderna, rimanendo geograficamente isolata e quindi oggi estinta”, dice la Hayes.
La scoperta sottolinea l’importanza dei resti archeologici dell’Africa australe per la definizione delle origini umane, riaccendendo il dibattito su quale regione dell’Africa siano realmente sorti i primi esseri umani.
“Un archeologo direbbe che i più antichi reperti, risalenti a 195mila anni fa, provengono dalla Valle di Omar, in Africa orientale”, dice la Hayes. “Ma i dati genetici raccontano un’altra storia, suggerendo una origine ‘divergente’ in Sud Africa”.
“Se vogliamo un buon riferimento, dobbiamo tornare alle nostre primitive origini umane”, continua la studiosa. “Attualmente, qualsiasi individuo, nel mondo, ha un genoma risultante da diverse mescolanze. Una prova per tutte, la percentuale del 4 per cento di Neanderhlal rinvenuto in molti eurasiatici. Con questa ricerca, abbiamo trovato un individuo di una stirpe che, rimanendo isolata, si è interrotta precocemente nell’evoluzione umana.
Questa scoperta dovrebbe quindi contribuire significativamente alla ri-definizione del genoma umano di riferimento”.
Lo studio è stato oggetto di pubblicazione sulla rivista Genome Biology and Evolution.