La prima parte della storia evolutiva dell’Umanità dovrà quasi certamente essere riscritta, dopo i recenti ritrovamenti in Sudafrica.
Pare, infatti, che circa due milioni di anni fa tre specie di predecessori degli esseri umani abbiano convissuto nella stessa regione.
Ecco come sono andati i fatti.
Un team internazionale, con a capo Gary Schwartz, ricercatore dell’Arizona State University, ha riportato alla luce il primo cranio conosciuto di Homo erectus, ritenuto il primo dei nostri antenati ad essere considerato ‘quasi umano’ per la sua anatomia e per lo stile comportamentale.
Il sito indagato, ricco di faune fossili, è quello di Drimolen, a soli 40 chilometri a nord-ovest di Johannesburg, in Sudafrica.
Ci sono voluti anni di minuziosi scavi e infine è stato recuperato un cranio a cui, in seguito ad un metodo di datazione molto accurato, è stata assegnata l’età di due milioni di anni.
Il team di 30 scienziati, provenienti da cinque paesi diversi, ha condiviso sulla rivista scientifica Science, della prima settimana di aprile, i dettagli del cranio – il più antico fossile di H. erectus conosciuto – con altri fossili di questo sito, ritenendo opportuna la necessità di riscrivere questa parte di storia evolutiva della nostra specie.
La datazione ad alta risoluzione dei fossili di Drimolen prova che l’età del ‘nuovo’ cranio precede gli altri esemplari di erectus di altri siti – sia all’interno che all’esterno dell’Africa – di almeno 100-200mila anni, confermando quindi l’origine africana della specie.
Il cranio, ricostruito da più di 150 frammenti separati, appartiene ad un individuo di un’età probabile compresa tra i tre e i sei anni, offrendo l’opportunità agli studiosi di poter osservare e ricostruire la crescita e lo sviluppo dell’infanzia di questi primi antenati umani.
Altri fossili recuperati a Drimolen appartengono a una specie diversa – o forse è meglio dire ad un genere diverso – l’antenato umano che si mostra più robusto dei precedenti e noto appunto come Paranthropus robustus, che aveva occupato alcune grotte vicine a Drimolen, della stessa età geologica.
Ma riguardo questa località le sorprese non finiscono qui.
Una terza specie, infatti, Australopithecus sediba, è tornato alla luce dai depositi di due milioni di anni di un antico sito di grotte, anche queste poco lontane da Drimolen.
“A differenza dell’età attuale, in cui siamo l’unica specie umana, due milioni di anni fa il nostro antenato diretto non era solo”, dichiara Andy Herries, direttore del progetto e ricercatore capo dell’Università Trobe di Melbourne, in Australia.
“Abbiamo scoperto che circa due milioni di anni fa, nello stesso arco di tempo, tre tipi di antichi antenati umani, molto diversi tra loro, convivevano in una stessa area, peraltro alquanto ridotta”, sostiene Schwartz, paleoantropologo esperto nell’evoluzione della crescita e dello sviluppo presso l’Istituto delle Origini Umane dell’Australian Services Union, che ha partecipato agli scavi e al recupero del cranio. “Non sappiamo ancora se le tre specie abbiano interagito direttamente ma la loro presenza contemporana in una regione non certo estesa fa presumere come molto probabile che questi antichi fossili umani abbiano sviluppato strategie per dividersi il territorio e le sue risorse in qualche modo e poter vivere in così stretta vicinanza”.
La capacità di datare i depositi delle antiche grotte di Drimolen con un elevato livello di precisione, utilizzando tecnologie di datazione diverse, ha permesso al team di affrontare importanti e più ampie questioni sull’evoluzione umana in questa regione dell’Africa.
Il co-autore dell’articolo Justin Adams, del Dipartimento di Anatomia e Biologia dell’Evoluzione presso la Monash University (Australia), che è uno specialista nella ricostruzione di paleohabitat basati sugli animali conservati nei siti fossili, afferma che la scoperta consente ora di discutere sulle cause che avrebbero influito sul cambiamento dell’habitat, delle risorse e sugli adattamenti biologici del primo Homo erectus in relazione all’estinzione di Australotithecus sediba in Sudafrica.
“La scoperta del primo erectus segna una pietra miliare per il patrimonio fossile sudafricano”, afferma Stephanie Baker, co-direttrice del progetto e ricercatrice dell’Università di Johannesburg.
A Drimolen il lavoro sul campo continuerà, ampliando gli scavi per includere componenti ancora più antiche della grotta e gettare così uno sguardo più approfondito sulle forze che hanno modellato l’evoluzione umana in questa parte del continente africano.