Nuove ricerche sull’ossigeno e sulla chimica del ferro alle condizioni estreme in cui si trovano all’interno della Terra potrebbero spiegare l’enigma di vecchia data che riguarda la formazione delle cosiddette “Zone di bassissima velocità” delle onde sismiche.
Pubblicata su Nature, la scoperta potrebbe avere implicazioni di vasta portata per una migliore comprensione della storia geologica della Terra, potendo spiegare eventi che hanno influito anche sulle origini della vita, come l’ Evento della ‘Grande Ossigenazione’, avvenuto 2,4 miliardi di anni fa.
Situate al confine tra il mantello inferiore e il nucleo, 1800 miglia al di sotto della superficie terrestre, si trovano delle zone di ‘discontinuità’ o Ultra Low Velocity Zone (UVZ), note agli scienziati da decenni a causa delle loro insolite proprietà rilevate dalla sismologia, che si manifestano nel notevole rallentamento della velocità di trasmissione delle onde sismiche.
Sebbene questa regione sia troppo profonda per poter essere indagata mediante una osservazione diretta, gli strumenti che possono misurare la propagazione delle onde sismiche causate dai terremoti consentono ai ricercatori di visualizzare i cambiamenti che subiscono mentre si propagano all’interno della Terra; un pò come l’utilizzazione degli ultrasuoni consente ai medici di osservare l’interno del corpo umano.
Queste misurazioni sismiche hanno consentito di localizzare queste zone in alcune regioni lungo il confine con il mantello, registrando il forte rallentamento delle onde sismiche che le attraversano.
Ma sapere che le UVZ esistono non spiega il motivo o i motivi che le causano.
Tuttavia, le recenti scoperte sulla chimica del ferro e dell’ossigeno in condizioni di laboratorio simili a quelle esistenti all’interno della Terra probabilmente forniscono una risposta a questo interrogativo.
Si è scoperto che le molecole dell’acqua contenuta in alcuni minerali che vengono inglobati all’interno della Terra in conseguenza dell’attività tettonica delle placche, potrebbero, sotto pressioni e temperature estreme, venir scisse, liberando idrogeno e consentendo all’ossigeno di combinarsi con il ferro del nucleo per formare un nuovo minerale ad alta pressione, il perossido di ferro.
Sotto la guida del geologo Ho-kwang “Dave” Mao, della Carnegie Institution for Science di Washington, il team ha condotto una apposita ricerca, partendo dal presupposto che fino a 300 milioni di tonnellate di acqua si riversino ogni anno all’interno della Terra, alimentando un enorme serbatoio di biossido di ferro, in cui potrebbe essere cercata la sorgente delle Zone di bassa velocità che rallentano le onde sismiche al limite del mantello.
Per provare questa ipotesi, il team ha utilizzato strumenti sofisticati presso l’Argonne National Laboratory in modo da esaminare la propagazione delle onde sismiche attraverso i campioni di perossido di ferro prodotti in laboratorio in condizioni di temperatura e pressione simili a quelle presenti all’interno della Terra, utilizzando una cella a incudini di diamante.
I ricercatori hanno così scoperto che una miscela di roccia del mantello contenente perossido di ferro in una percentuale del 40-50 % presentava le stesse caratteristiche sismiche delle enigmatiche zone di bassa velocità dell’interno terrestre.
Per il team, uno degli aspetti più eccitanti riscontrati è l’ipotesi dell’esistenza di un serbatoio di ossigeno situato in profondità all’interno del nostro pianeta che, se fosse stato periodicamente rilasciato sulla superficie terrestre, potrebbe aver alterato in maniera significativa l’atmosfera primitiva della Terra, spiegando il drammatico aumento di ossigeno che si verificò circa 2,4 miliardi di anni fa.
“Scoprire l’esistenza di un gigantesco serbatoio di ossigeno interno alla Terra ha in serbo molte implicazioni di vasta portata”, spiega Mao. “Ora, dovremmo riconsiderare le sporadiche esplosioni di ossigeno e le loro correlazioni con altri eventi importanti nella storia della Terra, come la formazione di bande ferrose in alcuni terreni, il fenomeno della ‘Terra a palla di neve’, le estinzioni di massa, l’estrema fluidità dei basalti e le fratture del supercontinente di Gondwana di 330 milioni di anni fa”.