Non avrei voluto scrivere su questo argomento. Il primo motivo – ovvio – perché avrei preferito non fosse mai avvenuto; il secondo, perché le immagini delle devastazioni e della disperazione della gente, grazie alle varie reti televisive, sono sotto gli occhi di tutto il mondo e tutti ne parlano: scienziati, giornalisti, politici. Chi con cognizione di causa, chi no.
Ritengo tuttavia doveroso dedicare qualche riga a questo evento che, purtroppo, è tuttora in fase di evoluzione.
Possiamo solo soffermarci sulle cause che hanno prodotto la catastrofe, limitandoci agli aspetti strettamente tecnici dell’evento.
Dunque, cosa sta succedendo nel Centro Italia?
L’Appennino centrale è una zona geologicamente molto attiva, dove sono localizzate diverse faglie o fratture della crosta terrestre.
Queste faglie, sotto l’azione dei movimenti della crosta, indotti a loro volta dai moti delle placche, sono soggette a rompersi o, come si dice in geologia, ad ‘attivarsi’.
Facciamo nostra la nota rilasciata in proposito dal CNR-IGAG (Consiglio Nazionale della Ricerche – Istituto di Geologia Ambientale e Geoingegneria), con cui si evidenzia che allorchè una faglia si attiva, generando un sisma, si ha un rilassamento della sua parte centrale, mentre la pressione aumenta lungo i lati.
Le rocce sottoposte a queste tensioni, qualora non riescano a sopportarle, cedono a loro volta, generando nuovi terremoti, in sequenza.
“Sono processi di propagazione laterale della sismicità (o contagio), relativamente frequenti” – fanno sapere – osservate in varie aree del pianeta.
“Questo processo sta coinvolgendo l’Appennino centrale”, prosegue la nota. “Il terremoto si è spostato da Amatrice verso nord, nell’area di Visso e Ussita e da qui verso sud, nell’area di Norcia”.
Purtroppo i tempi del ‘contagio’ non possono essere previsti, né si possono escludere altre manifestazioni, anche violente come quelle già avvenute.
La Terra non ha i nostri tempi, per dirla con una frase del prof. Boschi, l’esperto geofisico, ex-direttore dell’INGV, durante un’intervista ad un giornalista televisivo, domenica 30 ottobre.
La serie di terremoti si può replicare in ore, giorni, anni o decenni.
L’evento del 30 ottobre, per la sua magnitudo superiore ai terremoti precedenti, mostra che “non c’è una norma: sappiamo che in passato sono avvenute cose simili”, afferma il sismologo Alessandro Amato dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia. L’evento, secondo lo studioso “indica che il sistema di faglie aveva accumulato abbastanza energia elastica nelle rocce e che la sta rilasciando”.
Non ci deve stupire né allarmare, quindi, il ripetersi di sismi nei prossimi giorni, auspicando che le repliche seguano la tendenza ‘classica’ della diminuzione graduale.