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Biodiversità e crisi alimentare: un problema planetario

"Dobbiamo affrontare la sfida fondamentale di dissociare la crescita economica dal consumo di risorse naturali, che si prevede triplicheranno entro il 2050, a meno che l'umanità non trovi modi efficaci per 'fare di più e meglio con meno", Zakri Abdul Hamid, presidente Intergovernmental Science-Policy Platform on Biodiversity and Ecosystem Services

Scritto da Redazione di Gaianews.it il 27.05.2013

Zakri Abdul Hamid, è stato eletto nel gennaio scorso, presidente dell’Intergovernmental Science-Policy Platform on Biodiversity and Ecosystem Services (IPBES), un’istituzione indipendente simile all’Intergovernmental Panel on Climate Change. L’organizzazione ha lo scopo di colmare il gap che esiste fra ricerca scientifica e decisori politici nell’ambito del problema della biodiversità animale e vegetale. Oggi , in occasione di un meeting in Norvegia ha rilasciato le sue prime dichiarazioni pubbliche su biodiversità e crisi planetaria alimentare.

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In Norvegia si sono riuniti 450 esponenti dei governi responsabili per la biodiversità. Zakri, di origini malesiane, ha co-presieduto il Millennium Ecosystem Assessment del 2005 ed è consulente scientifico per il primo ministro del suo paese. Ha dichiarato “che ci stiamo dirigendo verso punti critici ambientali irreversibili che, una volta verificatisi, farebbero ridurre la capacità degli ecosistemi di fornire beni e servizi essenziali per l’umanità “.

La perdita incrementale della foresta amazzonica, per esempio, “può sembrare piccola, con una prospettiva miope”, ma alla fine “può accumularsi ad altri eventi e provocare un cambiamento più grande ed importante”, ha detto. Infatti gli esperti avvertono che il cambiamento climatico in atto, combinato con il cambiamento dell’uso del suolo e gli incendi, “potrebbero far sì che gran parte della foresta amazzonica si trasformi improvvisamente , minacciando l’enorme biodiversità della regione e servizi ecosistemici di valore inestimabile”, ha aggiunto.

Il Millennium Ecosystem Assessment, secondo Zakri, ha mostrato che una piattaforma intergovernativa può creare un riferimento costituito da dati scientifici per delineare le tendenze e le prospettive delle interazioni uomo-ambiente, con particolare attenzione per l’impatto dei cambiamenti dell’ecosistema sul benessere umano. E tutte queste informazioni potrebbero essere la base per le decisioni dei politici.

Zakri ha poi aperto il capitolo della biodiversità dell’allevamento sia animale che vegetale, anche questa in calo preoccupante.

“La buona notizia è che il tasso di declino è in calo, ma gli ultimi dati parlano del 22% delle specie domestiche a rischio di estinzione”, ha detto il dottor Zakri. Questo perchè il valore specifico di una singola varietà non viene riconosciuto dal mercato. In genere i prodotti vengono selezionati e i prodotti di nicchia non vengono apprezzati.
Nel mondo vegetale le cose non vanno certo meglio: nell’ultimo secolo abbiamo perso il 75% della diversità genetica, perchè gli agricoltori si uniformano sulla coltivazioni delle varietà ad alto rendimento e abbandonano la biodiversità locale.
“Il declino della diversità delle colture e degli animali si sta verificando contemporaneamente alla necessità di aumentare notevolmente la produzione alimentare mondiale e questo rende più importante che mai avere una grande varietà genetica che consenta agli organismi di resistere e adattarsi alle nuove condizioni,” ha spiegato.

Secondo Zakri, andare “verso l’equità e lo sviluppo sostenibile impone di andare oltre. Dobbiamo affrontare la sfida fondamentale di dissociare la crescita economica dal consumo di risorse naturali, che si prevede triplicheranno entro il 2050, a meno che l’umanità non trovi modi efficaci per ‘fare di più e meglio con meno.’ Non ci sono modelli semplici per affrontare una sfida così vasta e complessa, ma è indispensabile che ci focalizziamo su quest’idea.

“Abbiamo anche bisogno di misure di progresso sociale che vadano al di là del prodotto interno lordo. Abbiamo bisogno di questo tipo di visione contenuta nel Wealth Index Inclusive introdotta da Sir Partha Dasgupta della Cambridge University, Anantha Duraiappah dell’IHDP, e Pushpam Kumar dell’UNEP. Come hanno sostenuto in modo convincente, misure illuminate di ricchezza che comprendano il capitale naturale, non solo output come il PIL, possono offrire un vero e proprio ritratto di uno sviluppo sostenibile “, ha aggiunto.

“L’idea che il capitale naturale debba essere misurata irrita molte persone. Ed io sono d’accordo che molti dei servizi che l’ambiente offre, come l’acqua pulita e l’aria, siano necessità insostituibili.

“In teoria, però, l’indubbio valore di questi tesori naturali dovrebbe riflettersi nel loro valore, che dovrebbe salire vertiginosamente man mano che diventano più scarsi. Nella pratica, le risorse naturali sono spesso difficili da valutare correttamente, per non dire che la corretta valutazione è un’impresa impossibile Anche se questo lavoro è ancora all’inizio, è opportuno ricordare che il PIL è stato misurato solo negli ultimi 70 anni. E che in origine era una misura molto più secca rispetto ad oggi.
La realtà di molti decenni e la recente esperienza con gli MDG dimostrano fin troppo chiaramente il limitato successo che hanno avuto gli impegni, anche di legge, relativi alla biodiversità, in assenza di un qualche tipo di misurazione che parli anche ad altri settori e ad altri interessi coinvolti nel processo di sviluppo. Dobbiamo sollecitare gli economisti a fare un duro, ma prezioso lavoro, per imparare a valutare ciò che apparentemente non ha valore. Garantire che queste idee si riflettano adeguatamente negli SDG (Sustainable development goals) potrebbe fornire il tipo di supporto e l’incoraggiamento necessario.”

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