Un nuovo studio ha stimato il consumo di acqua e di uso del territorio per la produzione di 160 piante per coltivare le quali si utilizzano la maggior parte delle terre coltivate del mondo. I risultati suggeriscono che, collettivamente, grano, riso, cotone, mais e canna da zucchero incidono per il 49% sulla carenza idrica e per il 42% sulle risorse territoriali della produzione agricola in tutto il mondo.
Attualmente, la produzione agricola è responsabile per l’85% del consumo mondiale di acqua dolce. Con le popolazioni in aumento e la conseguente domanda di cibo, il consumo è destinato a raddoppiare entro il 2050, a fianco del crescente uso del suolo per l’agricoltura. Per promuovere l’agricoltura sostenibile, vi è la necessità di stime molto precise dell’uso di acqua e del suolo e del loro impatto ambientale. Ciò aiuterà la gestione locale e la valutazione del ciclo di vita dei prodotti regionali.
Lo studio, condotto dalla PROSUITE UE project, ha modellato il consumo globale dell’acqua e l’uso del territorio durante la fase di coltivazione di 160 piante. Il modello è stato eseguito ad alta risoluzione spaziale (con informazioni precise su luoghi specifici) per incorporare la grande variazione tra le posizioni. La combinazione di dati locali e globali può contribuire a confrontare l’impatto ambientale per regolare l’assegnazione di investimenti in agricoltura sostenibile.
Per valutare l’impatto dell’uso delle acque è stata applicata una misura chiamata RED ((Relevant for Environmental Deficiency) dell’ acqua, che rappresenta la quantità di carenza di acqua sia per gli utenti umani che per gli ecosistemi. L’impatto di uso del suolo è stato valutato mediante il potenziale di produzione primaria netta (NPP) di vegetazione naturale nelle rispettive aree.
L’analisi ha rivelato che grano, riso, cotone, mais e canna da zucchero rappresentato il 49% della causa della scarsità d’acqua (misurata in RED) e la causa del 42% delle risorse territoriali di stress causato dalla produzione agricola in tutto il mondo. Su una media mondiale, il mais si comporta meglio del riso e del grano in termini di impatto combinato su terra e acqua.
Tuttavia, ci sono differenze sostanziali tra le colture a seconda della località, ad esempio, la produzione di grano in centro e nord Europa è realizzata in gran parte grazie alle piogge e ha un impatto minimo sulla carenza idrica. Nelle regioni aride come il Texas, gli Stati Uniti, o l’India del Nord, la produzione di grano ha un impatto molto più grande sulla carenza idrica.
Lo studio ha anche identificato le colture che stanno contribuendo alla scarsità d’acqua, ma sono di scarso valore economico. Per esempio, colture oleaginose coltivate nei paesi in via di sviluppo, come il ricino e il cartamo, che abbisognano di 15,8 e 9.8m3 di acqua per ogni dollaro di fatturato economico medio globale. La maggior parte delle colture valutate (83%) utlizzano da 0 a 2 m3 di acqua per dollaro USA.
Le lacune nei dati sul consumo di acqua, l’uso del suolo e il loro impatto implicano che vi sono incertezze nel modello ma, migliorando i dati, migliorerà l’accuratezza del modello. Il RED è una misura appropriata per una impronta idrica, in quanto rappresenta il consumo di acqua per l’irrigazione e i suoi effetti specifici per la coltura e la posizione. Tuttavia, non tiene conto delle differenze socio-economiche, come ad esempio il livello di trattamento delle acque reflue e, come tale, può sovrastimare la scarsità in alcuni casi. Tuttavia, combinando le valutazioni locali e quelle globali, il modello può aiutare per la realizzazione di uno sviluppo agricolo sostenibile.
Con preghiera di recensione.
Breve storia dell’aratro.
L’agricoltura è nata tanto tempo fa. Forse 10.000 anni. Per prima cosa l’uomo riuscì a domesticare animali selvaggi e questo aiutò a renderlo sedentario. L’uomo, più o meno sedentario, iniziò ad osservare il ciclo delle piante, la loro crescita, la formazione dei fiori e dei semi, la risemina ed il nascere delle nuove piante, ed un uomo di genio se la ingegnò per raccogliere semi e nasconderli nel suolo ed aspettare la formazione di nuove foglie, semi e tuberi che in tal modo poteva ottenere nella quantità a lui necessaria e che poteva inoltre conservare per il resto dell’anno. Era nata la prima era dell’agricoltura.
Poi, un bel giorno, un altro genio immaginò di usare un residuo del tronco di un albero per aprire un solco e, per lavorare meno, fece trainare il tronco da uno dei suoi animali domestici o quasi. Era nato l’aratro di legno, che poi fu modificato in mille modi, col passare dei secoli.
Nell’età del bronzo si fecero aratri di metallo, che duravano più tempo ed erano qualcosa di simile a ganci che raschiavano la superficie della terra e, sempre col passare dei secoli, si unirono altre parti di legno, poi di metallo che rovesciavano il pane di terra, eliminando in tal modo le erbe spontanee dannose al raccolto. Passarono millenni e nel 1600-1700 DC gli aratri erano già quasi tutti di metallo e per di più potevano essere trainati da macchine a vapore e poi da trattori simili ai nostri moderni. Era la seconda era dell’agricoltura.
Poi, nei due secoli seguenti, l’agricoltura si sviluppò in maniera impensabile. Forse dobbiamo al genio di Mendel e di Pasteur, alle nuove specie vegetali venute dall’America, l’essere riusciti a rendere bugiarde le ipotesi di Malthus che promettevano fame, dovuta alle crescita in maniera geometrica della popolazione umana.
Oggi abbiamo l’ingegneria genetica e, presto, potremo fabbricare in laboratorio piante, o meglio organismi capaci di produrre gli alimenti a noi necessari, con le qualità che riterremo più opportune.
E l’aratro accompagnò sempre la crescita delle civilizzazioni. All’inizio realizzava un graffio sulla superficie del suolo, appena sufficiente a ricevere i semi. Poi l’uomo costruì aratri che lavoravano sempre a maggiore profondità, sino ad ottenere il taglio di una zolla sufficientemente profonda per essere rovesciata e seppellire così la vegetazione spontanea. Poi si volle ottenere una profondità di lavoro sempre maggiore per modificare la struttura naturale del suolo ed ottenere la penetrazione e conservazione delle piogge in profondità ed esporre all’aria, all’ossigeno e al calore dell’estate le zolle ed ottenere la loro disgregazione e la solubilizzazione delle sostanze nutritive. E In tal modo aumentava l’erosione del suolo e si andava verso la desertificazione e desertizzazione di sempre maggiori superfici.
Quanto accadde nella prima metà del ‘900, in America del Nord, generò un allarme mondiale e maggiore interesse per l’erosione eolica e finalmente si cominciò ad intendere che forse era meglio non modificare la naturale struttura del suolo e che le piogge potevano essere conservate in profondità mantenendo la superficie coperta con residui vegetali .
E si parlò di riduzione delle rimozioni del suolo con un minimo di lavori, e si usarono aratri di nuove forme, aratri a disco, erpici ed altri attrezzi, sempre con l’idea che il suolo doveva essere rimosso dall’uomo per fare infiltrare l’acqua della pioggia ed aumentare la fertilità.
Ma alcune semplici esperienze e l’uso di erbicidi per controllare la vegetazione spontanea, dimostrarono quanto fossero sbagliate quelle idee che dominarono per millenni l’agricoltura. La migliore struttura del suolo è la naturale, che permette, inoltre, la facile penetrazione delle radici. La migliore infiltrazione e conservazione dall’acqua di pioggia si ottiene lasciando in superficie i residui delle coltivazioni, come avviene nei boschi.
E nacque la semina diretta o labranza cero o no tillage o sod seeding che, con la fitotecnica, l’ingegneria genetica e la fitochimica domina l’attuale agricoltura.
E l’aratro fu abbandonato, arrugginito ed ormai inutile, in un angolo del campo.
Marcelo Fagioli.
mafagi@cpenet.com.ar
Anales Academia de Agronomia Argentina: 57:98 – 105. 2003
SENIGAGLIESI, Carlos A. Desarrollo de la siembra directa en la Argentina. 57:98-105. 2003
DESARROLLO DE LA SIEMBRA DIRECTA EN ARGENTINA
Ing. Agr. CARLOS SENIGAGLIESI
En primer lugar, deseo agradecer a las autoridades de la Cámara Arbitral de la Bolsa de Cereales por haber instituido este premio y muy especialmente, a los miembros del Jurado por habérmelo otorgado. Quiero hacer extensivo el reconocimiento por este premio al INTA, donde me inicié profesionalmente y donde trabajé toda la vida. Lo poco o mucho que pude hacer, se lo debe a su organización, que facilitó mi formación y capacitación y me dio todas las posibilidades para trabajar y a la participación y colaboración de una gran cantidad de personas, colegas y colaboradores con los que trabajamos juntos. Sin ellos, nada hubiera sido posible.
Por otra parte, lo realizado en agricultura conservacionista y siembra directa no es el trabajo de una persona, sino el producto del esfuerzo de mucha gente que durante mucho tiempo y en forma silenciosa fueron aportando resultados que a lo largo del tiempo posibilitó la difusión exitosa de esta tecnología en el país.
Fue en 1968 cuando tuve contacto por primera vez con la Siembra Directa, que por supuesto en aquellos años no se la llamaba de esa manera. En la EEA de Pergamino, trabajaba el Dr. Marcelo Fagioli, oriundo de Italia. Estudiaba el sistema radicular del maíz, en particular, el efecto de las labranzas(superficial y profunda) sobre el crecimiento de las raíces. Como buen investigador, quería para contrastar con las parcelas aradas un testigo absoluto, sin arar, para lo cual controlaba las malezas con atrazina y 2,4 D, y sembraba el maíz con un palo puntiagudo, como lo hacían los Aztecas y los Incas. Por varios años venía encontrando que las raíces crecían casi igual y los rendimientos no eran muy diferente entre arar o sembrar directamente sin arar, controlando malezas.
La anécdota es que cuando llegué a la EEA para incorporarme a trabajar, me organizaron una recorrida para que conociera a los distintos equipos de trabajo y me advirtieron que cuando estuviese con el Dr. Fagioli, no tomara muy en cuenta sus comentarios sobre esos resultados. No podía ser que se contradijera de esa manera el paradigma básico de la agricultura, esto era que para hacer crecer un cultivo había que arar el suelo y sobre todo en maíz, donde la primer recomendación pasaba por “preparar una cama de siembra profunda y bien mullida”. Decían que algo equivocado debía haber en el procedimiento experimental del Dr. Fagioli . Pero ciertamente que sus investigaciones eran validas y contemporáneas de las primeras que se estaban realizando en USA. Si se le hubiera prestado la debida atención hubiéramos ganado mucho tiempo en el desarrollo y difusión de la Siembra Directa…..
RITORNO ALLA PREISTORIA.
NASCITA DELLA “SEMINA DIRETTA”
L’uomo divenne agricoltore quando imparò a fare piccoli buchi nel terreno ed
a riporvi i semi. Poi qualcuno costruì una specie di aratro capace di aprire un
piccolo solco superficiale. Poi furono inventati gli aratri veri, prima di legno,
poi d’acciaio.
E Newton e Leibniz insegnarono a calcolare le forze ed i movimenti delle zolle
che si rovesciano su se stesse, coprendo di terra la vegetazione spontanea.
Aumentò così, enormemente, la produzione agricola ma aumentò anche l’erosione
del suolo.
Nel 1964, io stavo già lavorando in una Stazione Sperimentale Agricola, in
Argentina ed avevo disegnato alcuni esperimenti per approfondire la conoscenza
della dinamica dell’acqua nel suolo. Il disegno sperimentale comprendeva
anche parcelle con colture seminate su terreno arato e non arato. Secondo
quanto previsto le piante coltivate avrebbero dovuto crescere bene, nelle
parcelle arate e male, in quelle non arate. Ricordo ancora la mattina quando
l’incaricato del campo, con una faccia molto preoccupata, si precipitò nel mio
ufficio e mi chiese:
– “Dottore, come faccio io a seminare in un suolo non arato?” – Lo rassicurai
spiegandogli lo scopo e la maniera di procedere e dicendogli che avremmo controllato
la crescita della vegetazione spontanea mediante l’uso di prodotti chimici.
Le cose andarono, all’inizio, come avevamo previsto. Le piantine nacquero
stentatamente nelle parcelle non arate. Lo sviluppo della vegetazione
migliorava sensibilmente man mano che aumentava la profondità della rimozione
del suolo.
Alcuni professionisti, dipendenti di grandi società dedicate all’agricoltura, si
mostrarono interessati a questa ricerca. Venivano a visitarmi di quando in
quando ed io li guidavo sino al campo sperimentale. Non portavo con me il
disegno dello stesso perché i trattamenti si potevano intuire dalla differenza in
altezza della vegetazione. Ma un giorno, dopo qualche tempo dalla semina, una
volta arrivato con alcuni ospiti al campo sperimentale, non fui più in grado di
distinguere le parcelle con e senza rimozione del terreno. Rimanemmo tutti
molto meravigliati. Ancor più io lo fui, quando ottenni i rendimenti in grano
31
corrispondenti ai diversi trattamenti. Non c’erano differenze apprezzabili tra
il rendimento delle parcelle arate e non arate. Meglio non riportare i commenti
del personale della Stazione Sperimentale. Il più benevolo era quello che mi
consigliava d’andare in manicomio, se credevo davvero di poter seminare in
quella maniera i campi della zona.
L’esperimento fu ripetuto negli anni seguenti, ma era molto difficile far accettare
la filosofia di “questa nuova” e “preistorica”, tecnica colturale. É naturale…
dopo i millenni nei quali era stato usato l’aratro!
Ora la semina su terreno non arato è molto diffusa nella “Pampa” e, per quanto
ne so, anche in Africa e in altre parti del mondo.
Si chiama “siembra directa”, “no till”, “no tillage”, “labranza cero”.
Aiuta molto a risolvere il problema della conservazione del suolo, specialmente
nei paesi nei quali è rimasto qualcosa da conservare.
Non ha avuto molta diffusione in zone dell’Asia e dell’Europa, dove l’uso millenario
dell’aratro ha causato già tutta l’erosione che era possibile provocare.
Ora si parla molto di desertificazione ed erosione. Ma non bisogna dimenticare
che, quando gli spartani difendevano le Termopili, la larghezza del passaggio
occupato da quei trecento eroi, non era molto grande. Ora, tra un lato e
l’altro del valico delle Termopili, ci sono chilometri.
Questa è l’erosione.
Preso da: Ricordi di un emigrato dei nostri tempi” Marcello Fagioli (Vedi Google)