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Emissioni di CO2: avremo un oceano corrosivo come in passato?

Scritto da Leonardo Debbia il 22.05.2015

Circa 55 milioni di anni fa un evento catastrofico legato al riscaldamento globale fu innescato da una corrente marina di acque profonde e altamente corrosive, che attraversò l’Oceano Atlantico settentrionale.

L’origine di questo fenomeno ha lasciato perplessi gli scienziati per circa un decennio, ma ora un team di ricercatori della Penn State University ha scoperto come questa corrente marina abbia potuto formarsi e i risultati ottenuti fanno supporre che un evento del genere, stanti le attuali continue emissioni atmosferiche di anidride carbonica, possa anche ripetersi.

I ricercatori hanno studiato l’acidificazione degli oceani che si è verificata durante quel periodo della storia della Terra che va sotto il nome di Massimo Termico del Paleocene-Eocene o PETM, quando la temperatura atmosferica salì di 6 °C nel corso di circa 20mila anni come conseguenza di un eccessivo aumento di anidride carbonica e successivamente nelle profondità oceaniche prese il via una delle più grandi estinzioni di massa mai verificatesi prima.

I risultati dello studio sono stati resi noti sulla rivista Nature Geoscience.

L’attento esame di questo evento ha posto in una luce diversa lo scenario dell’attuale riscaldamento globale.

“L’interrogativo fondamentale che ci ponevamo riguardava il perché l’acidificazione degli oceani causata dall’aumento di anidride carbonica in atmosfera durante il PETM fosse stata tanto più incisiva nell’Atlantico rispetto agli altri oceani della Terra”, dichiara l’autore leader della ricerca, dott.ssa Kaitlin Alexander, dell’ARC Centre of Excellence for Climate System Science presso la University of New South Wales, in Australia. “Il nostro studio suggerisce che la forma dei bacini oceanici e le modifiche delle correnti marine abbiano giocato un ruolo fondamentale in questa differenza”.

Per la loro indagine, gli studiosi hanno ricostruito un modello climatico globale dei bacini oceanici e della distribuzione delle masse di terra di 55 milioni di anni fa.

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In quell’epoca, sul fondo oceanico era presente una catena montuosa che separava il Nord dal Sud Atlantico, per cui le acque profonde del Settentrione restavano separate dal resto degli oceani terrestri. Secondo gli studiosi, questa catena montuosa formava una specie di gigantesca ‘vasca da bagno’ sul fondo dell’oceano.

Quando la Terra prese a riscaldarsi a seguito dell’aumento di anidride carbonica atmosferica, trasmise calore all’acqua acidificata di questi fondali che, divenendo meno densa, cominciò a risalire verso la superficie.

Gli scambi di acqua (calda e densa in risalita, fredda e pesante in discesa) non avvenivano in maniera tranquilla ma finirono con il provocare una gigantesca fuoriuscita di acqua oltre il bordo del bacino nordatlantico che si riversò verso l’Atlantico meridionale.

I modelli di laboratorio hanno dimostrato che le cose andarono più o meno in questo modo, come afferma anche Tim Bralower, docente del Dipartimento di Geoscienze alla Penn State University, che aggiunge: “Le prove fisico-chimiche di cui disponiamo mostrano al 100 per cento una dissoluzione dei carbonati di calcio nei sedimenti dell’Atlantico meridionale”.

Se l’accresciuta acidificazione dell’Atlantico è da considerarsi un indizio dell’acidificazione che aveva interessato tutti gli oceani della Terra, si sarebbero dovute ipotizzare grandi quantità di anidride carbonica presenti nell’atmosfera per produrre un aumento di temperatura di 6°C.

Pare però che abbiano concorso anche altri fattori.

“Abbiamo capito perché la dissoluzione dei sedimenti in Atlantico era maggiore degli altri bacini oceanici”, sostiene Katrin Meissner, ricercatrice della University of New South Wales. “Esaminando tutti i sedimenti interessati, si può stimare che la quantità di gas serra rilasciato in atmosfera per un aumento di 5°C possa essersi aggirata tra 7000 e 10mila gigatonnellate di carbonio. Praticamente, la stessa quantità di carbonio che è disponibile oggi nei combustibili fossili”.

La grande differenza tra il PETM e la modifica del clima attuale sta nella velocità del cambiamento, secondo la dott.ssa Alexander, che afferma: “Attualmente, stiamo immettendo anidride carbonica in atmosfera dieci volte più velocemente di quanto accadde durante il PETM. Continuando di questo passo, nel giro di poche centinaia di anni potrebbe verificarsi l’evento che milioni di anni fa richiese un paio di migliaia di anni”.

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