Un nuovo studio condotto da Lance Lesack, geografo e docente presso la Simon Fraser University, ha scoperto che cambiamenti del clima imprevisti hanno influito sull’inizio dello scioglimento del ghiaccio sul grande fiume Mackenzie, in Canada..
Lesack è l’autore di uno studio intitolato ‘Il riscaldamento primaverile locale guida l’inizio della fusione del ghiaccio nel grande delta dell’Artico’, di cui è co-autore Wilfried Laurier, dell’Università di Alberta, pubblicato di recente su Geophysical Research Letters.
L’obiettivo era quello di capire come l’aumento delle temperature globali e l’intensificazione del ciclo delle acque dell’Artico, nell’insieme, avessero potuto portare ad una più rapida fusione del ghiaccio nei grandi fiumi della regione.
I ricercatori però, nel tentativo di comprendere perché, durante l’anno, la fusione del ghiaccio del fiume Mackenzie sia avvenuta prima, anche se la quantità d’acqua non era di fatto aumentata, come invece è accaduto nei fiumi russi, si sono imbattuti in un fenomeno imprevisto.
Primavere più miti e inattesi cali delle nevicate, piuttosto che inverni più caldi o portate di fiumi in aumento, come si era precedentemente sospettato, possono aver portato alla fusione del ghiaccio dei grandi fiumi artici prima del previsto. Il fiume Mackenzie esemplifica questo fenomeno inaspettato.
I ricercatori lo hanno scoperto accedendo a dati risalenti al 1958 che riguardavano i livelli dei fiumi, l’altezza della neve, le temperature e gli inizi della fusione del ghiaccio. Questo studio è significativo, dal momento che la neve e i meccanismi del ghiaccio artico sono fattori importanti del ‘sistema clima’, perchè riguardano la capacità della Terra di riflettere la radiazione solare.
“La nostra scoperta sorprendente è che le temperature primaverili, periodo in cui inizia la fusione del fiume di ghiaccio, erano cresciute di soli 3,2 gradi Celsius. Eppure questo piccolo cambiamento è stato responsabile dell’80 per cento della variazione di inizio della fusione del ghiaccio negli anni precedenti, a fronte di temperature invernali che erano salite di 5,3 gradi, ma che tuttavia avevano avuto una scarsa influenza”, dice Lesack.
“Questa è una risposta forte della fusione del ghiaccio a seguito di una modesta variazione di riscaldamento, ma da ulteriori indagini è emerso che lo spessore della neve a fine inverno era diminuito anche di un terzo in questo periodo. Una copertura nevosa più sottile significa che necessita di meno energia solare per sciogliere il ghiaccio”.
Lesack dice che questo è il primo studio effettuato sul campo per scoprire un importante effetto della riduzione delle nevicate invernali e di primavere più calde nell’Artico.
“La maggior parte del ghiaccio marino della Terra copre le regioni artiche e la massa artica è stagionalmente coperta da un manto nevoso. Se questo rapporto tra neve e ghiaccio cambia, c’è di che preoccuparsi”, ammonisce Lesack, che spera che i risultati della sua ricerca possano spronare le agenzie governative canadesi a studiare e monitorare i valori ambientali più accuratamente.
Esistono infatti pochi dati sulle coperture nevose dell’Artico. Lo studio ha dovuto basarsi su dati del 1958, matre i dati da telerilevamento risalgono soltanto al 1980.
Va da sé che ulteriori informazioni sarebbero auspicabili, per poter definire il più correttamente possibile l’andamento delle fusioni di ghiaccio per il futuro.