Gaianews

Riscaldamento globale, Pacifico emetterà milioni di tonnellate di metano

Scritto da Leonardo Debbia il 16.12.2014

Al largo della costa occidentale degli Stati Uniti è stata segnalata la presenza di metano allo stato gassoso intrappolato in strati congelati sotto il fondo marino.

La nuova minaccia per l’ambiente è stata portata alla ribalta da una ricerca i cui risultati sono comparsi sulla rivista Geophysical Research Letters.

Oceano

Nell’articolo pubblicato, gli studiosi dell’Università di Washington (UW) mostrano che l’oceano, a profondità intermedie, si sta riscaldando quanto basta per favorire la formazione di depositi di carbonio il quale, una volta disciolto, rilascia metano nei sedimenti e nella massa d’acqua.

I ricercatori hanno scoperto che le acque al largo dello Stato di Washington stanno gradualmente riscaldandosi a profondità intorno ai 500 metri, la stessa in cui il metano passa dallo stato solido allo stato gassoso.

C’è quindi il serio rischio che si possa innescare un maggior rilascio di gas a effetto serra nell’atmosfera.

E’ stato stimato, infatti, che tra il 1970 e il 2013 siano già state rilasciate ben 4 milioni di tonnellate di metano dal mare al largo dello Stato di Washington.

Alle basse temperature e alle alte pressioni dell’oceano il metano si combina con l’acqua, formando cristalli di idrati di metano.

“Gli idrati di metano sono una grande riserva di carbonio, che può passare nell’atmosfera, se le temperature cambiano”, dice Evan Solomon, docente di oceanografia alla UW.

Nel Pacifico Nord-occidentale ci sono enormi depositi di questi idrati, fatto insolito per le sue acque, ricche dal punto di vista biologico e geologicamente molto attive.

“Questo è uno dei primi studi condotti a latitudini più basse”, afferma Solomon. “Cerchiamo di dimostrare che anche il riscaldamento di profondità marine intermedie potrebbe rilasciare metano”.

Una Miller, oceanografa e co-autrice della ricerca, ha raccolto migliaia di misurazioni delle temperature effettuate al largo dello Stato di Washington e dai dati risultano evidenti segnali di un  riscaldamento inatteso delle acque alle basse profondità.

Quarant’anni di questi dati testimoniano che il riscaldamento non interessa solo l’acqua di superficie, ma anche quella più profonda.

“Una gran quantità di studi precedenti si erano focalizzati sulla superficie dell’oceano perché più a portata di mano”, dice Susan Hautala, docente di oceanografia alla UW. “La ragione per cui sono stati riscontrati cambiamenti di temperatura anche a profondità intermedie va ricercata nella influenza dei cicli atmosferici a lungo termine”.

Questa acqua più calda proviene probabilmente dal Mare di Okhotsk, tra la Russia e il Giappone, dove in superficie è più densa e tende a dirigersi ad Est, attraversando il Pacifico.

Il Mare di Okhotsk si è riscaldato negli ultimi 50 anni e vari studi hanno dimostrato che l’acqua impiega un decennio o due per attraversare il Pacifico e raggiungere la costa di Washington.

Hautala ritiene che le stesse correnti marine calde potrebbero aver riscaldato anche le acque alle medie profondità dalla California del Nord all’Alaska, dove pure esistono depositi di metano congelato.

Come avviene il trasporto?

L’acqua più calda, agendo sul metano congelato, sposterebbe il confine tra questo e il metano gassoso sempre più lontano dalle coste verso il mare aperto.

Nelle acque di Washington questo spostamento è stato calcolato in un chilometro circa dal 1970 e previsto vicino ai 3 chilometri entro il 2100.

Dove finisce il metano così formatosi ? Al momento, si fanno varie ipotesi.

Potrebbe venir consumato dai batteri del fondale, oppure potrebbe dissolversi nelle acque, inacidendole e impoverendole di ossigeno. Una certa quantità, poi, potrebbe raggiungere la superficie del mare e passare direttamente nell’atmosfera, andando ad aggravare gli effetti dei cambiamenti climatici.

Negli ultimi anni, alcuni pescatori hanno inviato agli oceanografi della UW immagini sonar che mostrano colonne di misteriose bolle, che Solomon ritiene emesse da alcuni siti profondi per effetto del riscaldamento dell’acqua.

Le immagini proverebbero comunque che queste bolle raggiungono la superficie del mare per poi passare nell’atmosfera.

© RIPRODUZIONE RISERVATA