“Ghiaccio bollente”, ultimo rapporto del WWF, propone, dati alla mano, un’analisi lucida di come il cambiamento climatico condizionerà il nostro futuro, e lancia un appello, l’ennesimo, per scuotere la coscienza collettiva.
Di notizie sui cambiamenti climatici, sullo stato dei ghiacci, sul clima impazzito, ne riceviamo quotidianamente, al punto che forse, è orribile dirlo, siamo giunti a scorrerle distrattamente per concentrarci sulla lettura di qualcosa che ci appaia più vicino. “Ghiaccio bollente” ha un pregio ormai raro, ed è quello di fornire un quadro completo della questione, presentare dati attendibili ma soprattutto andare oltre e proporre in modo brillantemente interdisciplinare un elenco dei problemi e delle conseguenze che rischiano di condizionare seriamente il nostro futuro.
Cominciamo col ribadire un concetto talvolta trascurato. Il riscaldamento ed il raffreddamento del pianeta sono fenomeni assolutamente naturali, che peraltro hanno caratterizzato gli ultimi 3 milioni di anni di storia del nostro pianeta (ne è testimonianza la ben nota successione di cicli glaciali-interglaciali) e dipendono da una complessa serie di fattori tra cui sicuramente spiccano cicliche variazioni nell’oscillazione dell’orbita terrestre (cicli di Croll-Milankovic).
Ora, la nostra presenza su questo pianeta ha certamente prodotto notevoli alterazioni nel ciclo di molti elementi (basti pensare a carbonio, azoto e fosforo) e nell’evoluzione di diversi ecosistemi, con il risultato che, trovandoci all’interno di un “sistema di sistemi” interconnessi, oggi siamo letteralmente bombardati da una moltitudine di conseguenze negative che minacciano, a cascata, di ripercuotersi fin sul più apparentemente innocuo aspetto della nostra vita quotidiana. Secondo i paleoecologi Anthony Barnosky e Elizabeth Hadly, scienziati ed autori del libro “End Game. Tipping point for Planet Earth ?” stiamo per raggiungere una soglia critica.
Tra gli indicatori più monitorati per capire quanto distante sia, effettivamente, questa soglia troviamo l’andamento dello stato dei ghiacci marini artici estivi, della Groenlandia e dell’Antartico occidentale, e l’andamento dello stato del permafrost, ovvero quello strato di suolo perennemente ghiacciato che costituisce un ricchissimo serbatoio di sostanza organica mai mineralizzata ma che, a causa del riscaldamento dell’atmosfera tende a rilasciare metano il quale, come viene sapientemente ricordato nel rapporto, è un gas serra dal potenziale ben superiore a quello dell’anidride carbonica.
Secondo l’International Panel on Climate Change (IPCC), ogni dieci anni, in Artide, perdiamo tra il 3,5% ed il 4,1% di superficie ghiacciata marina. L’estensione raggiunta dalla calotta artica lo scorso Marzo è stata tra le più basse mai registrate da rilevazioni satellitari e di questo passo, secondo gli esperti, prima della metà del secolo il Mare Artico a Settembre sarà quasi privo di ghiaccio. Alla faccia dell’esploratore norvegese Roald Amundsen, che per farsi strada tra quei ghiacci impiego ben tre anni, dal 1903 al 1906.
Certo, i ghiacciai di Artide ed Antartide reagiscono differentemente al cambiamento climatico, come pure è vero che il trend, nella regione antartica, è quello di un aumento, sebbene lieve, nel volume di ghiaccio marino. Tuttavia, neanche questo potrebbe bastare per frenare la perdita di ghiaccio, se la temperatura media superficiale continuasse ad aumentare. Lo stesso vale per la zona di permafrost (entro i -3,5 m dalla superficie) che, calcolando una media tra i differenti scenari proposti, potrebbe diminuire tra il 37% e l’81%.
Il “terzo polo” infine, costituito dai ghiacciai montani, costituisce un insostituibile serbatoio d’acqua dolce, di fondamentale importanza per agricoltura ed industria, ma versa in condizioni altrettanto disastrose.
Tra le più gravi conseguenze della fusione dei ghiacci c’è l’innalzamento del livello del mare. Ora, se alcuni di noi vivono in montagna e almeno da questa minaccia si sentiranno relativamente al sicuro, questo potrebbe costituire invece un problema per quel 60% della popolazione mondiale che abita entro i 100 km dalle coste del pianeta. L’analisi, fornita da Climate Central, delle aree del mondo che entro la fine del secolo potrebbero, in diversa misura, essere sommerse dall’innalzamento del livello del mare vede ai primi tre posti Cina (con oltre 50mila persone colpite), Vietnam (circa 23.000) e Giappone (circa 12.000). L’Italia in questa classifica è solo ventesima, con l’1% della popolazione esposto al rischio. Per questi paesi, un innalzamento del livello del mare equivale ad una riduzione della superficie emersa. Per diverse isole del Pacifico tuttavia, il destino è quello di scomparire: nell’arcipelago del Kiribati sono state già sommerse due isole, mentre 3 isole delle Maldive (altro arcipelago a rischio, che rischia di essere inondato entro i prossimi 30 anni), sono state evacuate.
Oltre a fagocitare superficie terrestre, lo scioglimento dei ghiacci avrà un ulteriore, spaventoso effetto: quello di alterare il clima dei Paesi europei che si affacciano sulle coste dell’Atlantico. Questa enorme massa d’acqua infatti, modificando la composizione salina, modificherà anche il delicato meccanismo del “nastro trasportatore”, grazie al quale nel Golfo del Messico si forma l’omonima Corrente del Golfo che, scorrendo in direzione nord-est, ha favorevolmente influenzato, nel corso della storia, il clima di Gran Bretagna, Irlanda, Francia, Paesi Scandinavi e consentito la sopravvivenza ai 4 milioni di abitanti indigeni della regione artica.
Disastrose sarebbero poi le conseguenze sulla ricchezza biologica del pianeta. Perdita di superficie significa perdita di habitat per molte specie animali e vegetali, e scioglimento dei ghiacci significa potenziale rischio di estinzione per molte di quelle specie che nel corso della storia si sono evolute adattandosi a quest’ambiente. Si tratta di orsi polari, foche, trichechi, pinguini, orche, balenottere, solo per citarne alcuni tra gli stanziali più conosciuti, ai quali si aggiungono i moltissimi migratori.
Anche per l’uomo, le conseguenze sarebbero catastrofiche. Se continua così, dovremo infatti prepararci ad affrontare una crisi idrica, che riscaldamento globale ed aumento della popolazione mondiale contribuiranno ad acuire. La ridotta disponibilità idrica, assieme al peggioramento delle condizioni climatiche e ambientali, potrebbe poi generare un nuovo flusso di migranti, che si spostano alla ricerca di soluzioni migliori. Sembra ormai pacifico che, dovessimo anche interrompere le emissioni di anidride carbonica in questo istante, gli effetti continuerebbero a farsi sentire per moltissimi anni.
Non esiste una singola leva sulla quale agire per risolvere la situazione ma, secondo Barnosky, dobbiamo improrogabilmente agire su più fronti. Ridurre il consumo pro capite di risorse, diminuire l’utilizzo di combustibili fossili e migliorare l’efficienza energetica. Mettere in atto misure di conservazione della biodiversità e dei servizi ecosistemici, che, -lunga vita allo sviluppo tecnologico, sia chiaro-, ma è da questi, per chi non l’avesse capito, che dipende la nostra vita. Ed ancora: incrementare efficienza in tema di produzione e distribuzione del cibo ma anche frenare l’incremento di popolazione mondiale perché, come ricorda lo studio, 7 miliardi di persone sul pianeta equivalgono, oggi, al 43% della superficie terrestre ormai convertito ad agricoltura, infrastrutture, aree urbane. Abbiamo dato nuova forma e piegato quasi metà della superficie terrestre, sconvolto meccanismi ecosistemici, alterato equilibri. Abbiamo preso tutto ciò che potevamo prendere. Ora, se ci è rimasto un briciolo di istinto di conservazione, è il momento di ridare qualcosa indietro, e per farlo è necessaria una presa di coscienza collettiva. In questo senso è utile l’intervista a Massimo Frezzotti, presidente del Comitato Glaciologico Italiano, che dura poco più di tre minuti ed è visibile qui: https://www.youtube.com/watch?v=YzrCLrybvTY
In alternativa il rapporto, 58 pagine, è scaricabile a questo indirizzo: http://awsassets.wwfit.panda.org/downloads/ghiacciobollente_wwf_2015.pdf