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Disastro BP: ecco come reagiscono le paludi della Louisiana

Scritto da Redazione di Gaianews.it il 26.06.2012

Foto: U.S. Army Corps of Engineers

Uno studio pubblicato sulla rivista  PNAS spiega quali siano stati gli effetti del disastro petrolifero della compagnia BP del 2010 sulle paludi  d’acqua salata della Louisiana, che già prima del disastro perdevano un’area grande come un campo di pallone ogni ora a causa della canalizzazione del fiume Mississippi. Secondo lo studio il disastro ha aggravato una situazione già delicata, ma ci sono alcuni dati che aprono qualche spiraglio di ottimismo.

Secondo lo studio il disastro petrolifero ha distrutto tutta la vegetazione in un’area compresa fra circa 5 e 10 metri dalla linea della costa. Questa morìa ha causato un’erosione con una conseguente perdita di habitat ed effetti sull’ecosistema. Le vegetazione che era invece più lontana è rimasta relativamente intatta.

“La Louisiana perdeva già un’area grande quanto un campo di calcio ogni ora prima del disastro petrolifero”, ha dichiarato Brian Silliman, biologo della University of Florida e autore principale dello studio. “Quando le piante  muoiono a causa del petrolio le loro radici, che tengono insieme il sedimento della palude, muoiono con la pianta. Uccidendo le piante sul litorale della palude, la marea nera ha spinto i tassi di erosione sul bordo della palude a più del doppio di quanto non fossero prima. Siccome la Louisiana stava già sperimentando una significativa perdita erosiva della palude a causa della canalizzazione del Mississippi, questo è un evidente  esempio di come fattori multipli di stress antropici possono avere effetti che si sommano. ”

Nelle paludi vivono gamberetti, ostriche e pesce: inoltre la presenza delle paludi protegge le coste dalle inondazioni, fungono da filtro per le sostanze nocive che arrivano dagli estuarii dei fiumi e catturano il carbonio.  Ma le paludi hanno sofferto per decenni a causa della canalizzazione del fiume Mississippi, che li ha private dei sedimenti necessari per impedire l’erosione.

Dopo il disasto petrolifero del 2010 la situazione non è certamente migliorata. Secondo i ricercatori a 1,5 chilometri dalla battigia sono stati rintracciabili solo piccoli quantitativi di petrolio, il che significa che la marea non è arrivata in profondità.

Ma la stima della perdita per il primo anno e mezzo è stata di 3,5 metri di erosione  per anno, il doppio del tasso naturale.

I ricercatori hanno anche notato che le piante più alte hanno avuto funzione di barriera, impedendo che il petrolio entrasse in profondità, ma facendo sì che stagnasse nella zona più vicina all’acqua e favorendone quindi l’erosione attraverso la morte delle piante con le radici.

I fatti incoraggianti, secondo i ricercatori, sono che la quantità di petrolio in un anno e mezzo è molto diminuita e che le piante che non sono morte dopo la catastrofe stanno ricrescendo in tutte le zone che non sono state interessate dall’erosione.

Dopo il petrolio nelle paludi sono ora presenti gli IPA, un sottoprodotto cancerogeno del petrolio. I ricercatori hanno però scoperto che gli idrocarburi policiclici aromatici o IPA,  erano maggiori del 100% nel sito test di Barateria Bay che nelle paludi di riferimento.

Con l’aggiunta di Biochar, una sostanza a base di carbone nelle zone paludose, la squadra di Silliman sta anche utilizzando nuove tattiche di biorisanamento per cercare di trasformare gli IPA in materiale organico. Se questo metodo avesse esito positivo potrebbe essere utilizzato per integrare i microbi presenti naturalmente nel fango della palude che già ossidano l’olio cancerogeno.

“Questa idea per la conversione degli IPA è del tutto nuova”, ha spiegato Andrew R. Zimmerman  professore di chimica  alla Univiersity of California e autore dello studio.

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