Benchè le segnalazioni risalgano agli anni ’80, la questione dell’esistenza di ibridi lupo-cane e della loro possibile nocività per la sopravvivenza del grande carnivoro, solo di recente, è stata presa in considerazione seriamente. Tanto seriamente che l’anno scorso è stato finanziato dall’Unione Europea un progetto ad hoc – il Life Ibriwolf – e, nell’ambito del progetto Life Ex-Tra curato dal Wolf Apennine Center, verrà riservato uno spazio per affrontare la gestione degli ibridi.
La recente attenzione mostrata verso un fenomeno che abitualmente si verifica in natura – l’ibridazione tra specie o popolazioni differenti – nasce da un problema di conservazione: lupo e cane, infatti, altro non sono se non la stessa specie, che anni di isolamento e selezione artificiale (sul cane) non hanno reso così distanti geneticamente da impedire il successo di una riproduzione incrociata. Nel momento in cui un cane e un lupo si accoppiano, infatti, la prole che si origina è fertile e può, a sua volta, dare origine ad individui fertili.
Tuttavia, le differenze ci sono eccome: il cane è frutto di interventi massicci di selezione operati dall’uomo nei millenni; il lupo, invece, è una specie selvatica con caratteristiche proprie e peculiari adattamenti al suo ambiente. Nonostante, dunque, siano la stessa specie, incroci tra popolazioni domestiche e selvatiche, nel tempo, potrebbero causare una diluizione genetica: il patrimonio genetico del lupo verrebbe “annacquato” da quello del cane, con la spiacevole conseguenza di perdere biodiversità e adattamenti e il nostro lupo, che è una specie protetta dalle leggi comunitarie.
Il lupo è una specie protetta anche in Italia, come in altri paesi europei, ma negli ultimi decenni si è assistito ad un crollo non trascurabile delle popolazioni ancora presenti. Per il ruolo fondamentale che riveste – all’apice della catena alimentare – e per le pressioni a cui le popolazioni sono da sempre sottoposte – bracconaggio, bocconi avvelenati, distruzione dell’habitat…-, che non ne consentono una piena ripresa, è fondamentale non aggiungere ulteriori pressioni negative. L’ibridazione con altri canidi potrebbe, infatti, rappresentare un nuovo limite alla vitalità delle popolazioni, nonché – nella peggiore delle ipotesi – la causa della perdita dell’integrità della specie Canis lupus, così come la conosciamo.
In quest’ottica conservazionista, si inserisce il progetto Life ibriwolf, il cui obiettivo primario consiste nel contrastare la perdita di identità genetica del lupo. Le azioni previste sono molteplici e spaziano da indagini sulla presenza e il riconoscimento degli ibridi (azioni A3, A4, A5, A8), alle campagne di sensibilizzazione e didattica ambientale (A7, D1, D4, D5, E3).
Nell’ambito del progetto sono previste anche la rimozione dal territorio degli individui riconosciuti ibridi con successiva collocazione in un centro specializzato (Centro Recupero animali selvatici della Maremma (CRASM), a Semproniano) e la sterilizzazione dei cani vaganti (azioni C1, C2, C3, C4). Al momento sono state messe in pratica tre azioni: l’azione A2 è la “messa a punto delle migliori strategie per l’identificazione degli ibridi”, una relazione tecnica stilata dall’Università La Sapienza di Roma (partner del progetto); la C1 e la C4 – rimozione degli ibridi e castrazione dei cani vaganti -, sono iniziate in ottobre, previa autorizzazione da parte del Ministero dell’Ambiente, e proseguiranno nei mesi a venire.
Le aree di intervento in cui si metteranno in atto tutte le strategie previste sono due aree pilota in Toscana: il Parco regionale del Monte Amiata e il Parco regionale della Maremma, aree in cui la presenza degli ibridi e dei lupi è stata appurata. Molto pragmaticamente, la Provincia di Grosseto, dove ricadono le aree di indagine, ospita al suo interno numerosi allevamenti ovicaprini, la cui esistenza rischia di essere messa a dura prova dalla presenza di ibridi e cani randagi.
Essendo il fenomeno dell’ibridazione noto da tempo, ma poco studiato, sia la normativa in proposito che la comunità scientifica si trovano impreparate su alcuni punti. Per poter agire a beneficio del lupo, innanzitutto bisogna definire esattamente cosa si intenda per ibrido: a quale percentuale un lupo “smette” di essere un lupo per diventare un ibrido? Quando presenta l’1, il 10, il 90% dei geni di un cane? È fondamentale definire correttamente le tre entità (lupo, cane, ibrido) ai fini gestionali, per sapere come comportarsi in loro presenza. Se, infatti, lupo e cane sono protetti da normativa nazionale ed europea, lo stesso non vale per l’ibrido, il quale al momento attuale non gode di un’identità ben definita.
In seconda battuta bisogna identificare dei criteri univoci che permettano una discriminazione sufficientemente adeguata tra gli ibridi da un lato e i cani e i lupi dall’altro. Il rischio di un’identificazione non accurata può avere due conseguenze: mantenere in natura individui ibridi che possono inquinare il pool genico dei lupi o togliere dal loro habitat lupi veri e propri, diminuendo così la vitalità delle già esigue popolazioni italiane di lupi. Per discriminare gli individui verranno utilizzati marcatori sia fenotipici (colorazione, etologia…) che genetici (mtDNA e marcatori biparentali a livello dei geni nucleari): l’utilizzo di più tecniche dovrebbe assicurare un’accurata identificazione dei soggetti rinvenuti. Nel caso del fenotipo come unica discriminante si potrebbe correre il rischio di non rendere conto della variabilità insita nelle popolazioni naturali; nel caso di un parere basato unicamente sulla genetica, il problema si porrebbe in presenza di ibridi di generazioni superiori alla seconda.
Ai problemi pratici di riconoscimento e legislazione, si aggiungono quelli di meno immediata soluzione relativi alla didattica e all’etica: parlare di ibridi e lotta all’ibridazione non è così semplice come potrebbe apparentemente sembrare. La questione, infatti, è poco nota e si inserisce nel più ampio bacino della conservazione dei grandi predatori che quasi mai è vista con occhio benevolo dal grande pubblico. Spiegare, infatti, che i grandi predatori devono essere visti come una risorsa e non come una minaccia è uno dei più grandi ostacoli che la conservazione si trova a dover affrontare. Nel caso in esame, spiegare che lupo e cane sono la stessa specie, ma una loro ibridazione è dannosa per tutti – per il lupo, perché si perde biodiversità e per le persone, perché gli ibridi sono confidenti con l’uomo come i cani, ma di indole selvatica come i lupi – è uno scoglio ulteriore che si aggiunge al precedente. L’ibridazione antropogenica – quella cioè tra una specie selvatica e la sua controparte domestica, mediata dall’uomo poiché con le sue attività favorisce l’incontro tra le due popolazioni – oltre che mettere a rischio il patrimonio genetico del lupo, ne lede anche l’immagine: di tutti gli attacchi al bestiame, infatti, si incolpa sempre il lupo, perché non è facile discriminare tra l’azione dei lupi, dei cani inselvatichiti e, in ultima analisi, degli ibridi. Poiché è già arduo proteggere i grandi carnivori, bisogna evitare di aggiungere ulteriori motivi di malcontento.
In ultimo, i problemi di natura etica: l’addomesticamento è una pratica antropica, la presenza di lupi in prossimità dei centri abitati spesso e volentieri è causata dalla frammentazione del loro habitat e il randagismo ha sicuramente una matrice umana. I problemi che scaturiscono dall’ibridazione hanno implicazioni sul genotipo del lupo e anche sulla vita degli ibridi che possono essere sterilizzati o richiusi in recinti di aree faunistiche.