Siamo a Opi, in un piccolo borgo nel cuore del Parco Nazionale d’Abruzzo, uno di quei luoghi arroccati a 1250 metri d’altezza, dove perdersi a leggere un libro, sorridere alla gente, camminare su e giù tra i v’ttal, gli antichi vicoli, e i resti delle vecchie stalle è un piacere ancora possibile. Qui incontriamo Bruno D’Amicis, biologo e fotografo naturalista, gli abitanti e tanti animali, tutti protagonisti della singolare mostra di fotografia in corso dal titolo “Occhi negli occhi”.
Sedici scatti esposti en plein air a ridosso della parte più antica dell’abitato, quella che si affaccia sulla Foce, una stretta gola scavata dal fiume Sangro, il cui bacino, insieme a quello dell’Aventino, rischia di essere minacciato da centrali e impianti di captazione. Sono scatti per ricordare che nel parco ci sono anche loro, gli animali e il loro habitat, una sorta di appello agli umani vicini di casa, ma anche a quelli lontani.
In questo singolare percorso la biologia si sposa con la fotografia, l’estetica con il desiderio di conservazione. La conoscenza è il filo conduttore e si inserisce pienamente e quasi sfacciatamente nel suo contesto. Le persone passano, si soffermano, sono lì che osservano gli animali che a loro volta li osservano e, con lo sguardo, si fanno sentire: “anche se non lo sapete, qui intorno ci siamo anche noi!”. Le immagini di Bruno d’Amicis sono più di una ricerca estetica, sono sguardi nuovi che ci invitano a riflettere con gioia, ad agire e conoscere. Rimarranno lì appese, lungo le mura del borgo, per tre anni, ritirate solo nei mesi più freddi per evitare che la neve e il gelo possano rovinarle. I bambini sono stati i primi ad apprezzare gli animali, come a suo tempo aveva fatto lo stesso fotografo romano di fama internazionale, durante il primo giovane incontro fotografico con un camoscio, animale guida del suo personale percorso.
Bruno, prima di infilarsi nuovamente tra boschi e sentieri, ci parla di questa iniziativa.
D:Com’è nata l’idea di fare una mostra all’aria aperta, tra i vicoli di Opi?
Bruno D’Amicis: L’idea è nata dopo la presentazione del mio libro “Ornata, il camoscio più bello del mondo” che ho fatto in paese, Opi è infatti conosciuto come il “comune dei camosci”. Per l’occasione il sindaco di Opi, Berardino Paglia, da sempre attento al territorio, ne ha regalato una copia a ogni bambino. Poi, lo stesso, ha proposto di fare qualcosa di più, così è nata l’idea di realizzare questa mostra all’esterno. Tra l’altro a Opi troviamo inserite architettonicamente nel contesto del borgo delle specie di archetti protetti, dove la gente un tempo conservava la legna accanto alla propria casa, punti perfetti per accogliere delle immagini, come fossero delle nicchie. Poi basta seguire le impronte dell’orso, realizzate a stencil lungo i vicoli, sui sampietrini, per ripercorrere il percorso espositivo.
D: Come hanno accolto la cosa gli abitanti di Opi?
B.D’A.: Mi è stato detto che qualcuno, aprendo la finestra la mattina, si ritrova i miei animali ad osservarlo e che questo gli dà tanta gioia. Effettivamente l’impressione è che la gente abbia accolto positivamente questa iniziativa, è stato qualcosa che è entrato nel tessuto sociale e ha creato partecipazione.
D: Come è stato possibile realizzare il materiale?
B. D’A.: Le foto sono molto grandi, il supporto tecnico è arrivato grazie a un centro stampa di Roma, che ha fatto davvero un buon lavoro: le fotografie, coperte con vetroresina, sono in grado di resiste alle intemperie. Chiaramente verranno ritirate nei mesi più freddi, con la neve, poi rimesse in primavera.
D: La cosa buffa è che mentre si osservano le foto di questi animali, loro stessi ti osservano, c’è uno scambio di sguardi in un contesto che è realmente quello dove questi animali vivono, non un catturarli di nascosto. Come mai questa scelta?
B. D’A.: Sì, è stata una scelta particolare, quella di scattare la foto mentre l’animale osserva il fotografo, come a dire “ti ho scoperto!”. Scelta dettata anche dal fatto di voler immortalare le specie più rappresentative dell’Appennino abruzzese, dall’orso, agli insetti, alla salamandra, i camosci o i lupi, specie spesso a rischio: il guardare negli occhi un animale che altrimenti non si vedrebbe mai dal vivo è come dargli voce, una sorta di appello.
D: Infatti tu sei anche biologo. Come si combinano le due cose: estetica, arte fotografica da una parte e conservazione della specie, interesse scientifico dall’altra?
B. D’A.: Si, sono biologo e mi occupo di conservazione e sono anche fotografo naturalista. Faccio parte anche di una nota lega americana di fotografi per la conservazione, International League of Conservation Photographers. Il linguaggio delle immagini penso sia molto importante, in quanto parla attraverso regole dirette, non scritte, ne consegue che i messaggi arrivano in modo molto rapido. Quindi bisogna stare attenti a come si manda un certo tipo di messaggio, ci vuole una certa “correttezza biologica” da parte di chi scatta la foto e una ricerca particolare, che trasmetta un messaggio chiaro. Sicuramente il mio fotografare ha anche un ruolo attivo in questo senso, di salvaguardia delle specie minacciate.
Sedici fotografie di Bruno D’Amicis, rappresentanti la fauna d’Abruzzo, stampate in grandi dimensioni (100x150cm) saranno esposte permanentemente per le strade, piazze e vicoli del borgo di Opi, uno dei più belli d’Italia. Questa è una mostra fotografica sì, ma è anche la storia di un paese che non vuole dimenticare che tutt’attorno ci sono anche loro, esseri che rischiano di scomparire, orsi, lupi, salamandre che ci osservano e ci chiedono quale sarà la loro sorte, con lo sguardo di chi è lì da sempre, nascosto tra le montagne, quasi, a modo loro, a volerlo proteggere.