La conservazione del patrimonio genetico del lupo in Italia potrebbe essere a rischio a causa dell’ibridazione, un fenomeno che avviene quando un lupo si accoppia con un cane e che è favorito dalla presenza di cani randagi. Questa ed altre problematiche sulla conservazione del lupo -una specie protetta- sono state affrontate martedì e mercoledì scorso al Parco delle Foreste Casentinesi al secondo meeting del progetto Wolfnet.
Wolfnet è un progetto finanziato dall’Unione Europea e si occupa di proteggere il lupo riducendo i fattori di rischio che lo minacciano.
Al progetto partecipano il Parco Nazionale della Majella, il Parco Nazionale del Pollino, il Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi – Monte Falterona e Campigna, la Provincia dell’Aquila, l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale di Lazio e Toscana e Legambiente.
Il lupo in Italia
Il numero dei lupi, a partire dagli anni 70, anni in cui la specie era considerata quasi in via di estinzione, ha ricominciato a crescere tanto che, ha spiegato il direttore del Parco delle Foreste Casentinesi Giorgio Boscagli, da 100 individui si è passati oggi a circa 1000 individui sugli Appennini e sulle Alpi occidentali.
Questo non vuol dire che non ci siano fattori di vario genere a minacciare il lupo: infatti con l’aumentare del numero di individui il lupo si è riappropriato di territori in cui non era più presente e nei quali l’uomo, nel frattempo, ha sviluppato delle attività. Questo comporta conflitti, ad esempio con gli allevatori, a causa dei danni che il lupo porta al bestiame. Inoltre ci sono ancora episodi di bracconaggio, i rischi sanitari connessi con l’interazione di cani vaganti e più in generale il disturbo causato dalle attività antropiche.
Numerosi gli interventi che si sono susseguiti in cui tecnici delle varie aree protette hanno parlato delle proprie esperienze e osservazioni in un tentativo di condivisione.
In Piemonte, ad esempio, la raccolta di dati sui danni agli allevatori, lo sviluppo di accorgimenti per salvaguardare il bestiame, come l’uso di recinti elettrificati e il ripristino dei cani da guardiania hanno diminuito il numero di perdite di animali a causa del lupo, come ha potuto dimostrare la dottoressa Silvia Dalmasso, del Centro Conservazione Grandi Carnivori del Piemonte.
Presenti anche i ricercatori dell’Università La Sapienza di Roma, il professor Luigi Boitani e il dottor Paolo Ciucci che da anni si occupano del lupo.
Lupi, cani o ibridi?
Paolo Ciucci, in particolare ha parlato del problema degli ibridi, cioè di quei lupi che nascono da un accoppiamento fra un lupo e un cane. Quando nasce un ibrido può essere sterile o può riprodursi. In questo secondo caso si parla di introgressione, ed è proprio in questo momento che il genome del cane “contamina” il genoma del lupo attraverso la prole.
I problemi che pongono gli ibridi sono molteplici. Il più importante è che minacciano il patrimonio genetico del lupo che va invece tutelato per tutelare più in generale la biodiversità. Inoltre sono di difficile gestione perchè presentano caratteristiche comportamentali diverse sia dal cane che dal lupo: durante le esposizioni sono stati citati due casi attualmente esistenti in cui interi branchi sono cosituiti solo da ibridi.
Il problema degli ibridi inoltre è in stretta relazione con quello dei cani vaganti: emblematico il fatto che in Spagna, come risulta dall’esposizione di Juan Carlos Blanco, biologo del Wolf Project in Spagna il numero degli ibridi è quasi nullo perchè non ci sono cani randagi in quanto questi vengono sistematicamente soppressi.
Come è possibile riconoscere gli ibridi dai lupi? La prima evidenza empirica di questa fenomeno risale al 1975, ha spiegato il dottor Ciucci. Da allora alcuni tratti fenotipici, cioè visibili, sono diventati caratteristici per il riconoscimento, ma non sono completamente attendibili. Per questo dagli anni 90 si sono rese disponibili anche le indagini genetiche.
Anche queste però sembrano avere dei limiti e quindi la questione della gestione degli ibridi, che porta con sé necessariamente il problema della gestione dei cani randagi ha ancora in sè dei grandi punti interrogativi che influiscono però anche sulla storia della conservazione del lupo. Per questo il professor Ciucci ha invitato tutti a partecipare attivamente ad un confronto responsabile su questo argomento che possa condurre a delle azioni basate su un incontrovertibile fatto scientifico.
Le aree faunistiche
Della conservazione del patrimonio genetico del lupo si occupano anche le aree faunistiche appositamente dedicate, come ha spiegato nel suo intervento Livia Mattei, biologa del Corpo Forestale dello Stato che opera nell’Area Faunistica di Popoli. Un lupo recuperato, per la dottoressa Mattei è una grande opportunità. Questi animali, che non possono più essere liberati e restano in cattività, possono rappresentare una banca genetica del lupo, essere un’occasione per fare educazione ambientale o possono fungere, nel caso di recupero dopo una detenzione illegale, da occasione per parlare di legalità.
Inoltre i lupi dell’area faunistica sono utilizzati per ricerche da diversi enti: i risultati di queste ricerche ervono a mgliorare la gestione dei lupi nell’area stessa.
Mattei ci tiene inoltre a precisare che il recupero fatto secondo precisi criteri di collaborazione e in velocità può cambiare il destino di un animale. A questo proposito racconta la storia di due animali salvati, curati e poi rimeesi in libertà con un radiocollare. Sfortunatamente entrambi qualche tempo dopo sono stati ritrovati morti in un laccio.
Non è questa purtoppo l’unica nota triste di questa giornata: il vicedirettore del Parco delle Alpi Marittime, Giuseppe Canavese, dopo aver elencato gli interventi messi in atto per migliorare la convivenza fra uomo e lupo nel proprio parco ha dovuto annunciare che, dopo il cambio della giunta regionale piemontese, il progetto non avrà più finanziamenti e verrà sostituito da un altro denominato PROPAST che prevede, fra le altre cose, l’abbattimento programmato di alcuni individui.
I componenti della tavola rotonda programmata nel pomeriggio, a questo proposito, hanno redatto una lettera firmata da tutti i partecipanti che sarà inviata alla giunta piemontese che “esprime apprezzamento per l’elevato valore scientifico e sociale delle azioni condotte in questi ultimi vent’anni e finanziate dalla Regione Piemonte stessa che hanno posto le basi per un’ eccellente gestione delle problematiche connesse con le attività zootecniche insediate in ambiente alpino. Si chiede pertanto l’avvio di un Action Plan della popolazione alpina di lupo che possa fornire chiare linee guida per la gestione”.