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Gli uccelli, sentinelle dei cambiamenti climatici

Tre studi in tre aree del globo rivelano l'impatto dei cambiamenti climatici sugli uccelli

Scritto da Linda Reali il 13.02.2013

Sud Est asiatico, Antartide e California: tre aree del mondo frequentate da specie di uccelli diverse fra loro, ma tutte alle prese con le conseguenze dei cambiamenti climatici come l’innalzamento delle temperature e l’intensificarsi di fenomeni atmosferici come la siccità o le inondazioni.

Come tutti gli esseri viventi l’esistenza degli uccelli è direttamente connessa all’ambiente che offre loro risorse alimentari, siti per la nidificazione e un riparo dai predatori. Per questo lo studio degli effetti dei cambiamenti climatici sugli uccelli s’interseca con quello del fenomeno globale e può suggerire interventi di prevenzione e salvaguardia dell’ambiente.

Pseudibis davisoniSud est asiatico

Ricercatori della England’s Durham University hanno concentrato i loro studi su specie di uccelli che vivono nel sud Est asiatico, in particolare nel bacino del Mekong, un’area interessata dall’intensificarsi di siccità e precipitazioni che spesso comportano l’alluvione di terreni e villaggi. La presenza dell’uomo in quest’area si fa sempre più pressante con il conseguente aumento d’inquinamento e di pratiche agricole invasive. Questo, unito al cambiamento climatico, rende non facile la vita di specie di uccelli che da millenni fanno parte integrante dell’ambiente, mentre ora per molte di esse si manifesta lo spettro dell’estinzione.

La ricerca del cibo, con il diminuire d’insetti a causa dell’uso di pesticidi, e l’aumento della temperatura, spinge molte di queste specie a spostarsi, scegliendo siti più a nord, in latitudini mai visitate dalla loro specie. Un ricollocamento spontaneo al quale alcuni ricercatori vorrebbero affiancare un intervento diretto per favorire lo spostamento di altre specie in modo da preservarne l’esistenza. Ma questa prospettiva viene allontanata con forza dai ricercatori della Durham University i quali, nel loro studio pubblicato sul giornaleGlobal Change Biology  vedono come soluzione del problema la salvaguardia delle foreste e il mantenimento di aree selvagge tra quelle coltivate per creare un corridoio biologico che possa favorire la fauna selvatica. Se gli uccelli trovano i loro spazi, tutto l’ecosistema ne beneficia, a partire da tutte quelle piante che necessitano proprio degli uccelli per la dispersione dei loro semi.

California

Secondo uno studio dell’americana PRBO Conservation Science and the Department of Fish and Game pubblicato sul PLoS ONE, gli uccelli maggiormente esposti alle conseguenze dei cambiamenti climatici sono le specie che vivono in aree umide o sulle coste. Le zone umide sono in netta diminuzione in tutto il mondo, sia a causa dei periodi di anomali periodi di siccità alternati ad alluvioni, sia per la distruzione di quelle zone cuscinetto, come le foreste di mangrovie, che fungono da filtro delle acque salmastre. Gli uccelli che vivono in queste aree sono strettamente legati ad esse per la ricerca di cibo, la nidificazione e, nel caso delle molte specie migratorie, come zone di sosta.

Il diminuire o il deteriorarsi dell’habitat paludoso è così, secondo i ricercatori, direttamente proporzionale a quello di uccelli che lo frequentano. Un esempio citato nello studio è quello del rallo nerastro (Laterallus jamaicensis), che vive nella palude della Baia di San Francisco. Anche gli uccelli che vivono sulle coste californiane e che nidificano nelle coste rocciose, come l’ Alca minore di Cassin (Ptychoramphus aleuticus), subiscono le conseguenze dei cambiamenti climatici e anche per loro urgono interventi per la salvaguardia dell’habitat: secondo i ricercatori, in California sono circa 130 le specie vulnerabili e oltre il 70% di esse sono a rischio d’estinzione. Come soluzione lo studio della PRBO Conservation Science and the Department of Fish and Game propone un approccio investigativo esteso ai fenomeni climatici e alle specie animali, in modo da ottimizzare l’uso delle risorse economiche a disposizione nella salvaguardia dell’ambiente. Dunque si tratta di considerare dunque gli uccelli e i cambiamenti climatici due lati della stessa medaglia, in modo da elaborare strategie d’intervento efficaci a medio e lungo termine.

Antartide 

In Antartide, in particolare nell’isola di Ross, la National Science Foundation, nella figura del biologo David Ainley, ha effettuato uno studio decennale dei pinguini di Adelia (Pygoscelis adeliae), una specie fortemente legata all’habitat glaciale e per questo un importante indice ambientale. Analizzando i dati raccolti in anni di studi in Antartide e rapportandoli a quelli raccolti oggi, i ricercatori sono in grado di tracciare una mappa delle zone a maggior rischio di scioglimento dei ghiacci e della conseguente diminuzione dei pinguini. Ogni anno infatti i pinguini dell’isola di Ross  ritornano dopo aver svernato nei banchi di ghiaccio. Le difficili condizioni climatiche e la presenza di predatori rende questa migrazione un viaggio pericoloso al quale molti pinguini non sopravvivono. La presenza dello strato di ghiaccio che ricopre le acque vicino alle colonie (sistematesi invece sul pack) e sotto il quale si trova la principale fonte di cibo, è per i pinguini di Adelia l’unico habitat che possa garantire loro la sopravvivenza. I cambiamenti climatici stanno accelerando le loro conseguenze proprio ai poli, dove lo scioglimento dei ghiacci è evidente ogni anno che passa. Pur in considerazione di habitat e specie diverse da quelle della California, anche quello di David Ainley e il suo team è un allarme ambientale che vede strettamente legati ambiente e uccelli, dimostrando ancora una volta come gli uccelli possano essere custodi e sentinelle del pianeta.

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