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Green economy, SEN e parchi: intervista a Fulvio Mamone Capria

La green economy è un settore in espansione. Il Ministro dell'Ambiente Corrado Clini la appoggia, le aziende la seguono perché è ormai chiaro che l'innovazione tecnologica green è un modo per rimanere a galla in questo momento di crisi

Scritto da Federica di Leonardo il 15.11.2012

La green economy è un settore in espansione. Il Ministro dell’Ambiente Corrado Clini la appoggia, le aziende la seguono perché è ormai chiaro che l’innovazione tecnologica green è un modo per rimanere a galla in questo momento di crisi. Sotto il grande tetto della green economy ci sono le energie rinnovabili, protagoniste della nuova Strategia di Energia Nazionale, che ha ricevuto le critiche di un cartello di associazioni ambientaliste, secondo le quali alle rinnovabili elettriche è riservato ancora troppo spazio. Abbiamo intervistato sull’argomento Fulvio Mamone Capria, presidente di LIPU-Birdlife Italia, chiededogli anche in che modo, nel campo della green economy, troveranno spazio le aree protette italiane, ad oggi ancora in attesa di ricevere il colpo di mannaia della spending review.

Foto: Bocchino

Domanda: A suo parere sono ancora eccessivi i finanziamenti alle rinnovabili elettriche?

Fulvio Mamone Capria: Innanzitutto è sbagliato che il governo, in pochissimo tempo, legiferando in maniera disorganizzata rispetto a tutto il tema che riguarda l’energia, prenda posizioni discordanti e intempestive rispetto agli imprenditori del settore. Non è pensabile che il Governo cambi le carte in tavola durante il gioco e quindi cambi le procedure rispetto a quando gli imprenditori avevano già investito. Così non si riesce né ad avere una visione di quello che è accaduto negli ultimi anni nel paese,  grazie agli incentivi in generale, né a organizzare una cabina di regia sull’impatto del sistema energetico rispetto al paesaggio e all’ambiente,  non riuscendo in ultimo a distinguere quelli che sono gli interventi prioritari e positivi che ci stanno più a cuore da quelli gravemente impattanti.

D: Quali dovrebbero essere allora i criteri per incentivare le rinnovabili elettriche?

F. M. C.: Noi siamo per continuare a dare incentivi al settore del fotovoltaico laddove queste attività sviluppino, anche attraverso le ricerca e le innovazioni nel settore, impianti in aree dove è corretto che siano posizionati: tetti degli edifici e delle imprese agricole, cioè dove veramente c’è la necessità di rendere autonomo il sistema energetico della famiglia italiana.

Invece ci preoccupiamo dell’aspetto industriale degli impianti energetici. Mentre capannoni industriali, aree industriali, aree già distrutte e compromesse a causa di tutta una serie di abusi possono essere corrette attraverso  la messa a punto di impianti di energia rinnovabile, quello che noi non accettiamo è il proliferare di impianti in zone molto sensibili del paese, in generale  sia per l’eolico che per il fotovoltaico, dove poi assistiamo a valutazioni d’impatto ambientale a dir poco ridicole.

Va bene voler continuare a sostenere le rinnovabili elettriche in generale, ma quanto di questo sostegno viene spostato sull’innovazione, quanto sulla ricerca, quanto su tutte quelle iniziative che servono ai piccoli imprenditori o alle famiglie? L’industriale che vuole posizionare un grosso impianto eolico ha la stessa possibilità di accedere a quelle risorse della famiglia, oppure sono due principi che vanno gestiti diversamente?

Se non si dà priorità a questo modello sostenibile, tutto il resto diventa una grande speculazione spesso a danno di zone  paesaggisticamente molto belle o dove sono localizzati habitat e specie a rischio. E su questo le valutazioni ambientali o di incidenza sono superficiali, e il personale dedicato alle istruttorie nelle Regioni e negli enti locali è insufficiente, mentre le proposte progettuali sono numerosissime.

Grifone – W.Vivarelli

In Abruzzo, ad esempio, ci sono numerosissime paline per la raccolta dei dati sul vento che preludono a presentazioni di progetti in luoghi in cui non sono assolutamente sostenibili sia per la presenza dell’Orso marsicano, sia per la presenza di un’importante colonia di grifoni e di altri rapaci. Stessa cosa vale per i nibbi che vivono in Basilicata.  Le indicazioni europee che proteggono questi animali non possono essere derogate nell’interesse di produrre energia pulita che va a beneficio magari di un unico imprenditore. Noi siamo per posizionare l’eolico dove è possibile farlo, e forse in Italia sono pochissime le zone dove è possibile posizionarlo.

Inoltre, ai piccoli imprenditori agricoli va data la possibilità di accedere a prestiti bancari, anche attraverso gli istituti preposti, come l’ISMEA, che sono già efficientissimi e andrebbero potenziati. In una SEN, vogliamo creare delle condizioni ad hoc in questo scenario delle rinnovabili per gli agricoltori che rappresentano il secondo comparto produttivo dell’Italia o li dobbiamo tenere ancora come ultimi, sfruttandoli e facendoli arrivare a svendere i terreni ai grandi industriali?

D: Recentemente si parla sempre più spesso di parchi e green economy proprio mentre i parchi sono in piena crisi gestionale e in attesa di conoscere l’entità dei tagli della spending review. Che cosa ne pensa?

F.M.C.: I dati sull’economia dei parchi sono positivi. Il sistema delle aree protette funziona, perché funziona l’imprenditoria di queste realtà che hanno affrontato la crisi in maniera diversa dai grandi soggetti produttivi del paese. Per esempio nel Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise, il turismo ha avuto una presenza costante nonostante la crisi degli ultimi anni. La presenza del valore della biodiversità è l’impulso per sviluppare quella microimprenditoria che a noi interessa. Ovviamente, se il Governo non riesce a garantire 60 milioni di euro, che sono una miseria, al nostro sistema dei parchi nazionali e chiede agli stessi di trovarsi degli sponsor, secondo me è un grosso errore sia come Paese che come strategia di difesa della nostra biodiversità.

D: Quindi lei è critico nei confronti del meccanismo delle royalties?

F.M.C.: Sono critico nel senso che quello è un meccanismo che va disciplinato in maniera seria. Io non sono d’accordo a chiudere ad un restyling della legge 394 in fretta e furia senza riflettere in maniera più ampia su questi temi cruciali. Ci sono dei concetti che hanno bisogno di un’attenta valutazione. Io sono per un sostegno ai parchi che possa rientrare, solo per dirne uno, dal meccanismo turistico. Un euro in più per il soggiorno in albergo o sui prodotti turistici realizzati nel parco, il cittadino/turista li tira fuori ben volentieri se sa che vanno a proteggere l’aquila, il lupo o l’orso. Non sono d’accordo invece sull’utilizzo di sponsor di soggetti industriali che vogliono continuare ad utilizzare le risorse dei parchi solo per il proprio arricchimento, magari offrendo “la mancia” ai parchi. Lì servirebbe una tassazione veramente diversa, proprio per questo il dibattito va approfondito e fatto diligentemente.

Infine, sulla tutela della biodiversità e nei progetti di ricerca sulla conservazione della natura, è lo Stato che deve garantire queste attività, non gli sponsor! Su questo concetto ci batteremo con tutte le nostre forze.

D: Cos’è secondo lei green economy?  Ci sono dei limiti a ciò che può essere fatto in un parco?

F. M. C.:Qualsiasi atteggiamento che può portare il cittadino o l’imprenditore  a migliorare il suo impatto sull’ambiente è una cosa positiva. Dopodichè che tutto sia green economy, ovviamente no. Secondo me a livello nazionale, un po’ meno rispetto ad altri paesi europei, sta nascendo la convinzione che attraverso la tecnologia verde si possa fare business in maniera pulita, questo è un dato positivo e poi ce lo dicono anche i risultati perché molte imprese, puntando sulla green economy, stanno resistendo all’impatto della crisi.

Poi c’è green economy e green economy. Ci sono alcune cose che nei parchi nazionali restano insostenibili, altre che invece vanno valorizzate. Il lato positivo di fondazioni come Symbola è quello di aver capito che comunque c’è un’Italia positiva che deve essere  messa in mostra, perché spesso questo è un paese dove si parla  solo delle negatività e mai delle positività. Se riusciamo a parlare anche delle cose buone che fa l’Italia, forse riusciremo a costruire una lobby che di fronte a questi speculatori mafiosi e alla malapolitica riuscirà finalmente a stare in piedi e a costruire un modello sociale culturale di tipo europeo.

Apprezzo molto lo sforzo di tutte quelle sigle di associazioni e realtà produttive che cercano di diffondere il tema della green economy. Poi da buon arbitro apro gli occhi  e cerco di distinguere alcune operazioni opportunistiche di qualche imprenditore che cerca di ripulirsi un po’ la faccia da quelli che sono invece dei veri e propri cambiamenti, dove l’innovazione la fa da padrona, che possono portare l’Italia ad essere un paese avanzato ed ecologicamente in linea con gli altri partner stranieri.

Lo dico sempre: cosa ci aspettiamo, ad esempio, dal Parco nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise, se non di continuare a vedere i suoi 40-50 orsi marsicani girare liberi? Una volta che moriranno quegli orsi, speriamo fra migliaia di anni, quale sarà l’attrattiva di quel parco? Quegli orsi sono un patrimonio di valore inestimabile e il Governo ha l’obbligo etico, ma anche civile e morale, di difendere quella popolazione di orsi che fortunatamente crea ricchezza per queste aree rurali montane svantaggiate, che altrimenti sarebbero abbandonate.

C’è un’Italia fatta di piccole cose che funziona, che cerca di vivere in maniera sostenibile. Allora, valorizziamo loro e spostiamo il dibattito dalle grandi aziende, come la Fiat, alle esigenze di questa parte di popolazione e di imprenditoria sana che rappresenta la maggioranza dell’Italia. 

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  • Stefano Orlandini scrive:

    Concordo con il Presidente della LIPU al 100%, concetti semplici e chiari , si puo’ sviluppare una gren economy recuperando e riqualificando milioni di metri quadri di tetti e/o aree degradate, ma non si possono sacrificare aree protette , habitat unici, specie sulla soglia dell’estinzione che l’Europa ci IMPONE di salvaguardare, alla produzione di qualche KW solo perche’ il tal imprenditore deve sfruttare incentivi che ormai non hanno alcun senso per la politica energetica nazionale.