Gaianews

Impollinatori e fiori: un esempio di come incidono cambiamenti climatici e attività umane

Per la prima volta è stata analizzata la relazione fra insetti impollinatori e piante attraverso l’analisi di dati raccolti in oltre 120 anni, evidenziando l’incidenza dei cambiamenti climatici e delle attività antropiche sul’ecosistema

Scritto da Linda Reali il 02.03.2013

Per anni l’ entomologo Charles Robertson ha studiato le interazioni fra piante e insetti impollinatori nei boschi attorno a Carlinville, in Illinois. Dal 1887 al 1917 ha osservato quali piante gli insetti sembravano prediligere, ne ha annotato comportamenti e ha collezionato esemplari. Una vasta e preziosa fonte di conoscenza destinata all’oblio, finchè cento anni dopo un gruppo di giovani ricercatori dell’Università del Montana  ne ha fatto la propria base di partenza per una ricerca sul campo.

Bombo e Calytonia della Virginia

Ma dei boschi ricchi di fiori attorno i quali s’indaffaravano numerose le api e altri insetti, è rimasto ben poco, sostituiti da campi coltivati e zone urbanizzate.

Alla sottrazione di zone boschive si è aggiunta un’altra variabile sconosciuta a Robertson: il cambiamento climatico. Nella stessa area, come in tutti gli Stati Uniti, l’aumento medio delle temperature ha comportato negli ultimi anni un anticipo della fioritura andandosi così a incrinare quella perfetta sincronia fra attività degli insetti e ciclo biologico delle piante.

Disponendo di dati storici risalenti a oltre un secolo fa, il team della Montana University è riuscito per la prima volta a dimostrare la diretta relazione fra impollinatori e fioritura e la distorsione di questo equilibrio da parte delle attività antropiche dirette (agricoltura e urbanizzazione) e indirette (cambiamenti climatici).

Lo studio, pubblicato sulla rivista Science è frutto di una ricerca non solo storica dei dati del professor Robertson, ma anche di una ricerca meticolosa sul campo. Nelle tarde mattinate e nei pomeriggi primaverili (per un totale di 477 ore) dal 2009 al 2010, il team di ricercatori della Montana University ha registrato la presenza di 3620 impollinatori. Di questi 2778 erano api, mentre il restante numero era costituito da farfalle e altri insetti impollinatori come i coleotteri.

Nell’area analizzata la pianta che è maggiormente visitata dalle api, è la Calytonia della Virginia (Claytonia virginica), un arbusto perenne che fiorisce in primavera. I suoi fiori, di cinque petali bianchi e rosa, si aprono solo per tre giorni, ragion per cui si rende ancora più necessaria la presenza d’insetti impollinatori proprio in quei rari giorni di fioritura.

Il valore della ricerca di Laura Burkle e dei suoi colleghi consiste nell’aver tracciato un quadro storico del rapporto fra impollinatori e piante, evidenziandone la criticità a fronte dei cambiamenti climatici e dell’habitat. Analizzando dati ottenuti in un lasso di tempo di oltre un secolo, il team è in grado di dimostrare quanto l’intervento dell’uomo abbia influito a lungo termine nell’equilibrio naturale e come la natura stessa elabori strategie di adattamento e sopravvivenza.

Il problema che si riscontra negli ultimi anni è nella mancanza di sincronia fra ciclo botanico e ciclo zoologico: molti insetti impollinatori escono dalle larve o dal letargo sulla base del loro ciclo vitale, ma se un tempo la loro attività di ricerca di polline coincideva con la fioritura, ora questo spesso non avviene. Si sono verificati infatti casi di fioriture precoci e altri casi in cui ondate di freddo improvviso hanno ritardato la fioritura. Venendo meno tale sincronia, le piante che dipendono dagli insetti per la trasmissione del polline vedono compromessa la loro chance di propagazione, mentre gli insetti, non riuscendo a trovare il polline, sono condannati a morire di fame.

 Lo stretto legame fra piante e insetti è evidente proprio nel momento in cui viene spezzato: in tutto il mondo la diminuzione di insetti è un fatto accertato, così come lo è quello della biodiversità botanica.

Le cause sono molteplici, dall’inquinamento all’uso di pesticidi, dalle monocolture all’urbanizzazione e alla cosiddetta “bonifica” di aree naturali.

Studi come quelli della Burkle richiamano l’attenzione sull’importanza di un intervento sul territorio per cercare di ripristinare quell’equilibrio millenario sopravvissuto fino a un secolo fa.

© RIPRODUZIONE RISERVATA