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La perdita di biodiversità compromette i meccanismi della vita sulla Terra

Scritto da Federica di Leonardo il 18.07.2011

Foto Marigrò

Un nuovo studio condotto da Brad Cardinale e pubblicato sull’American Journal of Botany ha valutato due decenni di ricerca sulla perdità di biodiversità e ha concluso in modo inequivocabile che la perdita di ricchezza di specie porta ad un malfunzionamento degli ecosistemi. Il gruppo di ricercatori ha esaminato le prove delle teorie più importanti sulla biodiversità e ha previsto che il progresso scientifico nei prossimi cinque-dieci anni fornirà le informazioni necessarie per conservare in modo efficiente certi processi ecologici.

Oltre un secolo fa, Charles Darwin sosteneva che il numero di specie presenti in un ecosistema determina quanto quell’ecosistema sia produttivo (cioè la quantità di materiale organico (biomassa) che può produrre), poiché ogni specie svolge una funzione particolare. Questo è comunemente noto come teoria del ‘partizionamento di nicchia’.

Gli scienziati hanno valutato 574 studi indipendenti per trovare le prove relative alla ‘teoria di nicchia’ e ad altre domande chiave circa l’importanza dei produttori primari (piante ed alghe) e la diversità di produttività dell’ecosistema. I dati di tutti questi studi coprono 541 specie diverse in 30 diversi tipi di habitat. Tuttavia, pochissimi studi hanno fornito prove evidenti del partizionamento di nicchia, rimanendo quindi aperta la questione sul perché la biodiversità abbia un forte impatto sulla produttività. L’evidenza ha confermato che, in media, una più bassa biodiversità di piante ed alghe riduce la capacità dei produttori di un ecosistema di catturare la luce e le sostanze nutritive, il che diminuisce la loro efficienza nel convertire queste risorse in nuova biomassa.

Gli scienziati hanno valutato l’ipotesi che la produttività dell’ecosistema diminuisca rapidamente al diminuire della biodiversità causata dal cambiamento ambientale globale. L’evidenza suggerisce che la perdita iniziale di specie vegetali in estinzione avrà un impatto relativamente modesto sul funzionamento degli ecosistemi, ma un aumento dei tassi di perdita di specie porterà a cambiamenti accelerati.

Gli scienziati hanno già stimato che il 50 per cento delle specie deve essere conservato perchè un ecosistema funzioni al 75 per cento della sua massima produttività. La nuova analisi ha però indicato che queste stime sono troppo basse e che, in media, deve essere conservato il 92 per cento delle specie per mantenere solo il 50 per cento della massima produttività.

Negli ecosistemi terrestri, la biomassa non è prodotta solo da una o due specie particolarmente produttive, ma da specie in “complementarietà”, in cui cioè le specie utilizzano le risorse in modi che sono unici nello spazio e nel tempo. L’esatto meccanismo di complementarità non è stato ancora ben compreso, ma può essere dovuto alla famosa “teoria del partizionamento nicchia”, dicono i ricercatori.

Un altro fattore, per esempio, può essere la presenza di una più ampia gamma di predatori naturali in diversi ecosistemi, che proteggono l’abbondanza di piante riducendo i parassiti al minimo. Ci sono anche alcune evidenze che suggeriscono che l’assorbimento di CO2 dall’atmosfera è compromesso dalla scarsa biodiversità vegetale, anche se è ancora necessario molto lavoro per comprendere meglio i fattori di controllo.

E’ importante sottolineare che, gli scienziati hanno anche scoperto che l’effetto della perdita di biodiversità vegetale sulla produttività è stato più chiara quando gli studi sono stati condotti per periodi di tempo più lunghi e su più grandi aree geografiche. Questo è importante per progettare la ricerca futura e suggerisce che gli studi del passato possono avere significativamente sottovalutato l’importanza della biodiversità vegetale.

Nonostante i progressi in questo campo siano stai stati finora impressionanti, il lavoro attuale e futuro avrà bisogno di concentrarsi su questioni più complesse, come quella della complementarità o quella dell’applicazione dei risultati sperimentali per capire quale sia la giusta scala a cui è necessario applicare gli sforzi di conservazione (ad esempio le isole, le foreste o i parchi nazionali) e come gli effetti della perdita di biodiversità dell’ecosistema interagisca con gli altri cambiamenti ambientali, come l’inquinamento e la perdita di habitat.

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