I cetacei sono uno straordinario esempio di convergenza evolutiva: dei mammiferi che si sono riadattati alla vita negli abissi marini. Ma come fanno a respirare se sono dotati di polmoni? Nell’ambito della V edizione di M’ammalia, festival dei mammiferi organizzato dall’Associazione Teriologica Italiana, si è svolta sabato scorso a Milano “Il respiro nell’acqua”, serata a sostegno della Società Italiana di Scienze Naturali (SISN), che ha visto esperti e appassionati riunirsi per affrontare il tema della respirazione in mare.
Responsabile dell’organizzazione della serata il prof. Bruno Cozzi, docente all’Università di Padova e presidente della SISN, che ha evidenziato come l’incontro sia nato con l’obiettivo di riavvicinare il pubblico milanese alla cultura scientifica. A tal proposito, gli interventi proposti sono stati relativamente brevi ma indirizzati a stimolare riflessioni ed approfondimenti, discussi in occasione della cena post-evento.
Numerosi sono stati i relatori, e quindi le prospettive secondo cui si è affrontato il fenomeno.
La fisiologia del respiro è stata descritta dal prof. Alberto Minetti, cattedra di fisiologia all’Università di Milano e cofondatore del Centro Studi di Ottimizzazione Biologica, struttura di ricerca della Società Italiana di Scienze Naturali.
Della respirazione delle balene ha spiegato i meccanismi Simone Panigada, biologo e vicepresidente del Tethys Research Institute, organizzazione non governativa fondata nel 1986 per promuovere la conservazione dell’ambiente marino e la sua biodiversità, focalizzandosi in particolare sui cetacei del Mar Mediterraneo. Proprio a questi mammiferi è dedicato il “Santuario dei cetacei”, area marina protetta istituita nel 1999 tramite un accordo ratificato da Italia, Francia e Principato di Monaco. All’interno del Santuario dei Cetacei, che si estende su una superficio di 90.000 kmq a cavallo tra Italia, Francia e Sardegna ed include interamente Corsica ed Arcipelago toscano, è possibile incontrare molte specie regolarmente presenti nel Mediterraneo quali stenella striata (Stenella coeruleoalba), balenottera comune (Balaenoptera physalus), capodoglio (Physeter macrocephalus), e se si è veramente fortunati, il delfino comune (Delphinus delphis). In quest’area protetta l’istituto di ricerca Tethys porta avanti numerose attività, come il monitoraggio telemetrico di una popolazione di balenottera comune, e studi per ridurre le probabilità di collisione con imbarcazioni, che per balenottera comune e capodoglio rappresentano ad oggi una delle principali cause di morte di origine antropica, non essendo i cetacei individuabili dai radar.
L’apneista Mike Maric ha poi aiutato a meglio comprendere il fenomeno dell’apnea, che nei cetacei è illustremente rappresentato. Proprio grazie ad un recente studio condotto nel Mar Ligure si è scoperto infatti che la balenottera comune, che può rimanere in apnea fino a 20 minuti, è in grado in quest’intervallo di raggiungere profondità di oltre 400 mt. Il primato appartiene tuttavia al capodoglio: il più grande odontocete esistente è in grado di nuotare oltre i 2000 mt di profondità resistendo in apnea fino a 2 ore.
Lo storico della letteratura Alberto Carli ha infine trattato il ruolo delle sirene nel mito e nelle fiabe.
“La serata” -ha commentato il prof. Cozzi- “è stata un successo. I posti disponibili sono stati riempiti prima della scadenza e alcune persone hanno dovuto rinunciare proprio per lo stretto limite imposto dalla capienza della sala”. La Società Italiana di Scienze Naturali valuterà quindi l’opportunità di ripetere questo tipo di incontri in futuro.
forse l’amore per questi animali causa attenta analisi ma approccio delicato.