Uno studio condotto dal Massachusets Institute of Technology (MIT) insieme alla Colorado State University afferma che a mettere a repentaglio la sicurezza alimentare del prossimo mezzo secolo sarebbe la pericolosissima combinazione ozono-alte temperature.
Secondo la co-autrice Colette L. Heald, che al MIT dirige il gruppo che studia composizione e chimica dell’atmosfera, ma soprattutto il modo in cui queste influenzano il clima, la qualità dell’aria e la salute, la combinata azione di ozono ed alte temperature è stata in passato perlopiù ignorata, quando invece si prospetta più che mai minacciosa rispetto al tema della sicurezza alimentare.
Mentre in alto, nella stratosfera, lo strato di ozono protegge la vita sottostante fungendo da filtro rispetto al passaggio dei raggi ultravioletti, a livello del suolo la sua presenza pregiudica la salute di uomo ed animali, ed interferendo con i meccanismi fisiologici e biochimici delle piante produce raccolti esigui o visibilmente danneggiati.
La ricerca, cui oltre alla Heald hanno contribuito Amos Tai, ex post-doc del MIT, e Maria Van Martin della Colorado State University, ha minuziosamente analizzato la produzione delle quattro fondamentali colture agrarie che da sole garantiscono più del 50% dell’apporto calorico alla popolazione mondiale: riso, grano, mais e soia. Da solo, il riscaldamento globale potrebbe secondo lo studio ridurre i raccolti mondiali di circa il 10% entro il 2050. Per l’ozono una stima del genere risulta invece azzardata. Intanto le colture non reagiscono uniformemente a questo gas, e così mentre il grano è risultato molto sensibile all’ozono, il mais risente maggiormente delle alte temperature. Poi c’è l’inghippo tecnico: i sintomi che le piante esposte ad alte concentrazioni di ozono mostrano, come ad esempio crescita stentata o clorosi fogliare, sono comuni a diverse patologie. Infine, va tenuto in considerazione il ruolo chiave svolto dalle misure che a livello nazionale possono essere adottate contro l’inquinamento.
A peggiorare le cose, secondo lo studio, c’è l’effetto combinato con le alte temperature. Queste infatti, favorendo la reazione di composti organici volatili ed ossidi dell’azoto, contribuiscono ad una ulteriore formazione di azoto. Proprio in ragione di questo fenomeno il team di ricerca ha scoperto come il 46% dei danni subiti dalle colture di soia, finora attribuiti alle alte temperature, siano in realtà il risultato di un incremento nella concentrazione di ozono.
Non meraviglia il fatto che a preoccupare sia soprattutto l’impatto sull’agricoltura. Se, stando alle previsioni, crescita demografica e modifiche nella dieta dei paesi in via di sviluppo produrranno un raddoppio del fabbisogno alimentare mondiale, la minaccia di raccolti diminuiti arriva come un tutt’altro che desiderabile fulmine a ciel sereno.
Gli effetti saranno plausibilmente molto variabili, afferma lo studio. Negli Stati Uniti si prevede che le misure in atto per garantire la qualità dell’aria produrranno un crollo dell’inquinamento da ozono e si rifletteranno positivamente sulle colture. In altri paesi invece, i risultati dipenderanno sensibilmente dalle politiche ambientali nazionali.
Queste infatti, insieme con l’adozione di specifiche misure per ridurre le emissioni, potrebbero, stando alla ricerca statunitense, se non invertire, almeno contenere il trend negativo.
Secondo gli scienziati, un “taglio netto” delle emissioni consentirebbe di portare al 9% la diminuzione dei raccolti attualmente prevista, rispetto al 15% ipotizzato in caso di tagli meno decisi.
La produzione agricola è molto sensibile all’inquinamento da ozono e questa ricerca, secondo Colette L. Heald, dimostra l’importanza di ragionare sulle conseguenze che una politica di emissioni può apportare all’agricoltura.
Lo studio, supportato da National Science Foundation, National Park Service e Croucher Foundation, è stato pubblicato sulla rivista scientifica Nature Climate Change.