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Palermo: acque reflue nell’area marina protetta dell’Isola delle Femmine

A Palermo, pericolo d’immissione di acque reflue all’interno di un’area marina protetta

Scritto da Stefania Lo Bianco il 26.04.2013

La Sicilia è uno dei luoghi che può vantare ecosistemi costieri e marini tra i più belli e ricchi di biodiversità al mondo. Nonostante ciò, non sempre le scelte della cittadinanza e delle Amministrazioni Comunali agiscono nel rispetto di tale patrimonio ambientale.  

Un caso emblematico e molto attuale è quello dell’impianto di depurazione delle acque reflue “Fondo Verde” gestito dall’Azienda Municipalizzata Acquedotto di Palermo (AMAP) nel capoluogo siciliano.

Nel 1998 – anno di attivazione -, l’impianto sopperiva all’esigenze di alcuni quartieri della città, trattando, nel periodo estivo, oltre 30mila m3 di acque grezze al giorno. Nel 2013 giunge la notizia che l’impianto sarà ampliato e le acque reflue di 100mila persone scaricheranno all’interno dell’Area Marina Protetta (AMP) “Capo Gallo – Isola delle Femmine”. Gaianews.it ha sentito il dott. Mario Ajello, referente per il settore Mare, Coste e AMP del WWF Sicilia e la Prof.ssa Francesca Di Lorenzo, ordinaria di Storia della Filosofia presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Palermo.

Isola-Finistruna

Indignata la reazione degli abitanti della zona, che vedono messa a repentaglio una delle più belle aree del Mediterraneo, dimora di specie protette come la Posidonia oceanica e di strutture come i Trottoir a vermeti, che per alcuni versi possono essere associate alle barriere coralline. 

E così accade che luoghi senza nessuna bellezza paesaggistica vengano valorizzati al massimo dai locali, mentre posti – già di per sé mozzafiato – non sono minimamente rispettati dalla popolazione residente, che li dà per scontati e non li considera come casa propria. Ecco, dunque, il paradosso.

Tuttavia, stridente non è unicamente la prospettiva che sia deturpato un tratto di mare splendido e legislativamente protetto, quanto piuttosto il fatto che non sussista una reale necessità che l’impianto venga collocato proprio lì: la realizzazione in altre aree non solo non sarebbe più costosa, ma consentirebbe di prescindere dalla creazione dell’impianto di pompaggio delle acque che – nell’area in questione – sarebbe necessario per sopperire ad un dislivello di circa 80 metri. 

Ma c’è di più: secondo le normative nazionale ed europea, le acque depurate dovrebbero essere riutilizzate, per scopi quali irrigazione, bonifiche, pulizia stradale, spegnimento incendi… Pertanto, tale progetto, oltre a mettere a repentaglio l’integrità di un Sito di Interesse Comunitario (SIC), risulterebbe persino contrario alle normative in vigore.

Anche per merito della mobilitazione di quella parte della cittadinanza attiva ed attenta alle problematiche ambientali, le autorità responsabili della gestione delle acque stanno lentamente indirizzando l’attenzione verso siti alternativi: il Comune di Palermo, con il sindaco Leoluca Orlando e la commissione Ambiente dell’Assemblea regionale siciliana, si è già detto contrario alla condotta sottomarina che scaricherebbe nel mare della riserva. Finché l’intero progetto non sarà risolto positivamente per l’AMP, però, il pericolo non scomparirà.

Per comprendere maggiormente a quali rischi andrebbe incontro l’ecosistema se, effettivamente, fosse interessato dal riversamento di acque di scarico, abbiamo intervistato il dott. Mario Ajello, referente per il settore Mare, Coste e AMP del WWF Sicilia. Alla Prof.ssa Francesca Di Lorenzo, ordinaria di Storia della Filosofia presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Palermo, nonché vice presidente dell’ Associazione per la difesa del mare e del territorio di Isola e Capaci (PA), invece, ci siamo rivolti per capire perché debba sempre essere l’indignazione di pochi – e non la coscienza collettiva-, il motore del cambiamento.

Trottoir

Due personalità siciliane, dunque, entrambe attive nell’ambito della protezione ambientale, affrontata però da due punti di vista differenti. 

Domanda: Dottor Ajello, è sbagliato immettere acque reflue nelle vicinanza di una riserva? Se sì, perché?

Mario Ajello: Piuttosto che di giusto o sbagliato, bisogna parlare di legale o illegale. La legge 394 del ’91 – la stessa che individua l’area marina in questione – dice chiaramente che sono vietate “l’alterazione dell’ambiente geofisico e delle caratteristiche chimiche e idrobiologiche delle acque” ed “ogni forma di discarica di rifiuti solidi e liquidi”.

D.: Quali potrebbero essere le conseguenze per le specie presenti?

M. A. : L’immissione di qualunque acqua reflua (trattata e non) causa l’alterazione delle caratteristiche fisico-chimiche delle acque (salinità, trasparenza…), dunque l’alterazione dell’ambiente in cui si sono adattate a vivere tali specie. 

D.: Quali sono le specie che andrebbero incontro ai danni maggiori?

M. A.: Sicuramente le prime comunità a risentirne sarebbero le praterie di Posidonia oceanica – una specie endemica del Mediterraneo che costituisce il più grande polmone di ossigeno del mare, nursery per molte specie di pesci e vera e propria barriera contro le erosioni marine – e i Trottoir o marciapiedi a vermeti – biocostruzioni marine di alcune specie di piccolissimi molluschi, reef unici nel Mediterraneo.
 A seguire, tutte le specie ad esse connesse.

D.: Quale può essere il danno, per l’ambiente e per la cittadinanza, causato dalla mancanza di recupero delle acque di scarico’ 

M. A.: Oltre allo spreco irrazionale e non etico della risorsa acqua così gestita, a questi ritmi di consumo si rischia di andare incontro a desertificazione crescente, riduzione delle superfici boschive e aumento del riscaldamento globale.

D.: Con uguali finanziamenti, sarebbe possibile scaricare le acque in zone alternative, prive di specie protette o dove la salinità sia già stata compromessa da altri scarichi?

M. A.: E’ difficile da dire. In passato l’AMAP aveva proposto progetti alternativi, compatibili con la disponibilità delle risorse finanziarie, quindi si potrebbe dire di sì. Tuttavia, quasi sempre i progettisti e i committenti si fermano alla sola valutazione dei costi diretti di realizzazione, senza valutare i danni che un’opera – apparentemente più economica – potrebbe arrecare in futuro all’economia, al turismo, alla pesca e, genericamente, all’ambiente. 

Foto: Alberto Romeo

Foto: Alberto Romeo

Domanda:Prof.ssa Francesca Di Lorenzo perché si è scelta una riserva come sito di scarico delle acque reflue? È davvero credibile che non esistesse un posto alternativo, meno impattante per l’ambiente?

Francesca Di Lorenzo: È una scelta davvero incomprensibile: contro il buon senso – che dovrebbe spingere ad amare i propri tesori – e contro la normativa – istituita a protezione sia delle singole riserve che, più in generale, della risorsa acqua. A mio parere, qualunque altro sbocco (anche quello attuale dei Cantieri Navali) costituisce un’alternativa valida e meno impattante.

D.: In quale ambito va inserita la questione? All’interno di un problema meramente economico, nella scarsa attenzione che si mostra generalmente nei confronti del paesaggio o in cos’altro?

F. D. L.: Penso che il problema risieda primariamente nella poco diffusa sensibilità alla salvaguardia delle nostre bellezze naturali. A tal proposito, è necessaria una nuova cultura, dell’ecosostenibilità e – perché no – dell’estetica: una nuova consapevolezza, cioè, dell’importanza del bello per una vita armonica e qualitativamente soddisfacente. Tuttavia, il problema economico sussiste eccome, nella scelta di soluzioni più facili e (apparentemente) meno costose, che non tengono conto degli irreparabili e costosissimi danni ambientali in tal modo causati.

D.: Dal punto di vista etico, qual è il messaggio che traspare: mancanza di consapevolezza, assenza di coscienza etica? Da ricercare più nella cittadinanza o nelle istituzioni? 

F. D. L.: La questione etica è centrale nel danno che si arreca alla natura. Abbiamo bisogno di sviluppare una bioetica dell’ambiente che permetta all’uomo di riacquistare consapevolezza del suo essere parte della natura. Penso che sia urgente comprendere l’ingiustizia insita nel distruggere le potenzialità di luoghi splendidi e nel disconoscerne la vera vocazione. 

Le istituzioni errano, ma l’inerzia dei cittadini non è meno grave. Con la vicenda del depuratore di Fondo Verde, abbiamo un buon esempio di come una cittadinanza attiva e partecipativa possa essere da pungolo per le istituzioni, a volte solo distratte dalle urgenze quotidiane.

D.: Come insegnare il rispetto per le bellezze naturali in un frangente in cui perfino l’amministrazione pubblica pare non curarsene?

F. D. L.: Abbiamo bisogno di buone scuole e adeguate formazioni ambientale, estetica ed etica; le quali passano attraverso la nostra capacità di insegnare, anche con l’esempio.

D.: Qual è l’importanza dell’acqua e del suo riciclo, in questo preciso contesto storico?

F. D. L.: Il rapporto sullo sviluppo umano del 2006 esprime il convincimento che l’inadeguato accesso all’acqua di milioni di persone nel mondo diminuisca le opportunità di realizzazione del potenziale umano: non sorprende, perciò, che il riuso dell’acqua sia stato identificato come una delle nuove sfide del XXI secolo. Contro l’impoverimento incalzante delle falde idriche e il progressivo processo di desertificazione, l’Europa sta puntando sull’innovazione delle tradizionali metodologie di approccio alle acque depurate, richiedendone un “uso durevole e sostenibile”. Sarebbe certo un grande contributo a tale lotta se anche a Palermo – e in Italia in generale -, le nostre acque depurate venissero riutilizzate a servizio dell’ambiente e dell’intera cittadinanza.

 

 

 

Riferimenti:

http://www.amap.it/fverde.htm

http://www.corrieredelmezzogiorno.it

http://legambientesicilia.it

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