In Gran Bretagna, dopo aver esaurito la capacità produttiva di alcuni pesci che sono stati sovrapescati, il mercato si è riversato in maniera aggressiva su alcune specie di crostacei. I ricercatori ora lanciano l’allarme perchè la situazione attuale non è il risultato di un’operazione gestionale, ma è solo lo spostamento di un problema da un ambito all’altro, con rischi altissimi oltre che per gli ecosistemi, per tutti coloro che dalla pesca traggono sostentamento.
La pesca eccessiva ha ridotto le popolazioni ittiche e la biodiversità in gran parte degli oceani del mondo. La pesca, di conseguenza, fa sempre più affidamento su pochi grandi crostacei. Sono stati i ricercatori dell’Università di York a dimostrare quanto sia rischioso questo approccio.
La ricerca, pubblicata sulla rivista Fish and Fisheries, dimostra che la pesca tradizionale di grandi pesci predatori come il merluzzo bianco, è diminuita nel corso degli ultimi cento anni. Al posto dei grandi predatori si pescano ora i grandi crostacei, come i gamberi, le capesante e le aragoste grazie proprio alla scomparsa dei grandi predatori e alla degradazione di alcuni ecosistemi a causa della pesca intensiva. In Gran Bretagna la situazione è questa e i frutti di mare sembrano essere la risorsa ittica più preziosa. Ma questa ricchezza può rivelarsi estremamente pericolosa, secondo gli studiosi di York.
Questo tipo di ecosistemi infatti non sobi abbastanza resilienti, nè alle malattie, nè alle invasioni da parte di altre specie, nè ai cambiamenti climatici. Ad esempio il riscaldamento e l’acidificazione degli oceani avranno un forte impatto sulle popolazioni di crostacei e in particolare influiranno sulla capacità dei crostacei di costruire il proprio guscio
Leigh Howarth, autore principale dello studio, ha spiegato: “I gamberi sono ormai il pescato più importante del Regno Unito, con un valore di oltre £110.000.000 l’anno, ma questo tipo di pesca è nata solo dopo che sono state esaurite le popolazioni dei grandi predatori Se i crostacei ora crollassero le conseguenze sociali per i pescatori sarebbero devastanti. Ci sono solo pochissime specie rimanenti”.
Lo studio inoltre riporta di situazioni simili in altre parti del mondo. Negli Stati Uniti e in Canada, le catture di aragosta, capesante e granchi sono divenute preponderanti. Tuttavia, le malattie e il cambiamento climatico hanno di nuovo messo queste specie a grande rischio. Mentre nel Mar Nero, nel Mar Baltico e a largo della costa occidentale dell’Africa, la pesca eccessiva di grandi predatori ha generato un’invasione di meduse, con conseguente grave carenza di ossigeno, cancellando in tal modo le importanti catene alimentari su 100 mila chilometri quadrati di fondali marini.
Il dottor Bryce Stewart, coautore, ha aggiunto: “I molluschi danno un contributo prezioso alla nostra pesca, ma non possiamo assumere che la situazione sia rosea. C’è un urgente bisogno di continui miglioramenti nella gestione dei pesci e della pesca, e un approccio ecosistemico che ricostruisca la diversità, la resilienza e la produttività dei nostri oceani per il futuro”.
Il professor Callum Roberts ha spiegato : “La crescita dei frutti di mare è stata accolta da molti come un’ancora di salvezza per l’industria della pesca, tuttavia, questi cambiamenti non sono il risultato di una gestione di successo, ma piuttosto una conseguenza della mancata gestione, un fallimento delle azioni di tutela delle specie e dei loro habitat a fronte della innovazione del settore e della pesca eccessiva. Questo studio mette in evidenza perché il Regno Unito deve agire con urgenza per proteggere i nostri mari. Abbiamo bisogno di più aree protette marine per evitare che i nostri mari diventino una terra desolata e per ripristinare la diversità e la produttività della pesca anche in futuro”.