Nuova piantagione di palma da olio
Due scienziati hanno deciso di sfidare l’attuale convinzione che i biocarburanti siano ecologici, e i loro risultati gettano ombre su un settore in piena espansione in tutto il mondo. Secondo gli autori, non sempre i biocarburanti riducono l’effetto serra e occorre distinguere caso per caso.
I biocarburanti vengono realizzati da prodotti agricoli attraverso un processo di trasformazione, invece che essere estratti dal sottosuolo. Il vantaggio secondo gli esperti è la riduzione di emissioni di CO2 in atmosfera, in quanto le coltivazioni per crescere devono fissare l’anidride carbonica dall’atmosfera, che quindi viene rilasciata nuovamente durante la combustione dei biocarburanti.
Un nuovo studio pubblicato oggi sulla rivista GCB Bioenergy rivela che i calcoli delle emissioni di gas a effetto serra provenienti dalla produzione di bioenergia stanno trascurando alcune informazioni cruciali, che hanno portato a sovrastimare i benefici dei biocarburanti rispetto ai combustibili fossili.
La critica si estende ai modelli di analisi del ciclo di vita della produzione di bioenergia. La Life Cycle Analysis (LCA) è una tecnica utilizzata per misurare e compilare tutti gli elementi relativi a produzione, utilizzo e smaltimento del combustibile. Gli autori concludono che sono stati sopravvalutati gli aspetti positivi dell’uso dei biocarburanti rispetto all’uso di combustibili fossili, omettendo l’emissione di CO2 da parte di veicoli che utilizzano l’etanolo e il biodiesel, anche quando non vi è alcuna valida giustificazione.
I fautori della bioenergia sostengono che le analisi devono sempre ignorare questa CO2 perché le piante coltivate per realizzare i biocarburanti l’assorbono dall’atmosfera e quindi compensano la quantità di carbonio che viene emesso dalla raffinazione e dalla combustione del biocarburante. La nuova ricerca critica questo metodo sostenendo che così facendo viene contato il doppio del carbonio assorbito dalle piante, in quanto – è il ragionamento – in quei terreni verrebbero comunque fatte crescere delle piante.
L’unico caso in cui le colture bioenergetiche possono dare un contributo positivo alla fissazione del carbonio e quindi alla riduzione dell’effetto serra – prosegue il ragionamento – è quando c’è una produzione di biomassa supplementare che deve però essere opportunamente conservata o comunque trattenuta a terra (evitando ad esempio la combustione degli scarti).
La sopravvalutazione del contributo positivo sull’effetto serra diventa ancora maggiore quando l’omissione di CO2 è combinata con la sottovalutazione delle emissioni di azoto da parte dei fertilizzanti. Secondo l’autore Keith Smith, dell’Università di Edimburgo, “le emissioni di N2O dal suolo danno un grande contributo al riscaldamento globale, perché ogni chilogrammo di N2O emesso nell’atmosfera ha circa lo stesso effetto di 300kg di CO2.”
Smith osserva che molti calcoli attuali sottostimano la percentuale di azoto da fertilizzanti effettivamente emessa nell’atmosfera come gas ad effetto serra.
Gli autori sostengono inoltre che l’aumento osservato in atmosfera di N2O mostra che questa percentuale è in realtà quasi il doppio dei valori utilizzati nei calcoli attuali.
Secondo gli autori, Searchinger e Smith, lo sviluppo complessivo e la ricerca di carburanti alternativi sta andando nella direzione sbagliata. “Produrre biocarburanti è sensato quando viene prodotto materiale di scarto che contiene carbonio, o se vengono utilizzati terreni alternativi a quelli dele colture tradizionali. Solo così le colture non farebbero concorrenza alla produzione alimentare, tessile, e dialtri prodotti.”