Il 18 maggio 1980, negli Stati Uniti, il Monte Sant’Elena, un vulcano appartenente alla Catena delle Cascate, nello Stato di Washington, esplose.
L’eruzione, che uccise 57 persone, causando danni ingenti alle foreste e uccidendo migliaia di animali, rimane il più grande evento vulcanico verificatosi negli Stati Uniti occidentali in un arco di tempo di poco più di 100 anni.
I cambiamenti attentamente documentati, sia sul comportamento che sull’aspetto del vulcano nei mesi precedenti l’eruzione, costituiscono un insieme di dati molto utili per la comprensione dei sistemi vulcanici di tutto il mondo.
Prima dell’eruzione del 1980, il Monte Sant’Elena era rimasto inattivo per 123 anni, dando pochi cenni di attività, dopo il suo ultimo episodio eruttivo che risaliva al 1857.
Tuttavia, il suo alto potenziale per grandi eruzioni distruttive era ben noto.
Katharine Cashman, docente di Vulcanologia presso l’Università di Bristol, afferma che nel 1978 il Sant’Elena era stato definito come ‘il vulcano più attivo della Catena delle Cascate’ e gli studiosi già allora ritenevano possibile una sua esplosione prima della fine del ventesimo secolo”.
Così, quando, nel marzo 1980, il vulcano dette qualche segno di risveglio con piccoli terremoti, frutto di spostamenti magmatici poco profondi, l’USGS (United States Geological Survey) istituì un posto di osservazione a circa 8 chilometri dal vulcano.
Dalla fine di marzo all’inizio del mese di maggio 1980 la frequenza dei terremoti aumentò, fino a divenire quattro volte più intensa ad otto giorni dall’eruzione.
In questo periodo si verificarono anche eruzioni freatiche, dovute al riscaldamento delle acque circolanti sotterranee, che produssero un nuovo cratere summitale, confermando le previsioni di un vulcanologo dell’USGS, Donald Swanson, che dava l’eruzione ormai imminente.
I segnali più rilevanti vennero dalla formazione di un rigonfiamento superficiale (‘criptodomo’) di un’altezza di centinaia di piedi e una serie di fratture lungo il pendio settentrionale del Sant’Elena, segni che facevano intuire la potenziale esplosione del vulcano e l’innesco di una fase eruttiva.
I segni di un’imminente eruzione erano quindi chiari, ma non ci fu alcun avvertimento immediato, allorchè alle 8.32 del 18 maggio fu avvertito sotto il vulcano un terremoto di magnitudo 5.1 e l’intera parete nord collassò, provocando una valanga di detriti.
L’improvvisa caduta di pressione all’interno dell’edificio vulcanico culminò in un’esplosione laterale verso nord che devastò più di 600 chilometri quadrati di foresta, uccidendo 57 persone e migliaia di animali.
L’evento fu osservato ‘in diretta’ dalla vulcanologa Carolyn Driedger e dal suo team, che stavano lavorando alle pendici del vulcano. La ricercatrice racconta: “Rimanemmo senza fiato nel vedere l’enorme pennacchio nero che si dirigeva verso nord, non riuscendo a capacitarci della portata di quell’evento”.
Dopo l’esplosione laterale iniziale, l’eruzione proseguì ‘più normalmente’ con “un pennacchio vulcanico diretto verso l’alto che fu poi spinto ad est dai forti venti occidentali, che depositarono la cenere su tutto lo stato di Washington, parti dell’Idaho e del Montana”, commenta Cashman.
Eruzioni esplosive meno intense continuarono per tutto il 1980 e alla fine si trasformarono in più tranquille emissioni laviche effusive e nella crescita di una cupola di lava all’interno del cratere appena formato.
L’attività vulcanica cessò nel 1986 e, sebbene tra il 2004 e il 2008 si ripresentasse qualche eruzione, queste non ebbero carattere esplosivo.
Il Mount Sant’Elena rappresenta solo una delle 25 regioni attualmente monitorate dal CVO (Osservatorio dei Vulcani delle Cascate), ma soprattutto non è l’unico vulcano degli Stati Uniti occidentali in grado di produrre grandi eruzioni esplosive.
In effetti, l’eruzione del 1980 di Mount Sant’ Elena fu relativamente piccola rispetto ad eruzioni ben più grandi, ma estremamente rare, che si sono verificate in alcuni vulcani lungo la Catena della Cascate (come l’eruzione del Lago Crater, che ebbe un effetto circa 50 volte quello dell’evento del Sant’ Elena del 1980).
Negli anni ’70 e ad inizio 1980 il monitoraggio del vulcano era solo agli inizi. Al momento dell’eruzione del 18 maggio esisteva un solo sismometro entro 30 miglia dal Monte Sant’ Elena.
Tuttavia, nei quarant’anni successivi, “questo vulcano è diventato lo ‘standard di riferimento’ per il monitoraggio dei vulcani dell’intera Catena, con un’eccellente rete di sismometri e stazioni GPS”, afferma Seth Moran, scienziato del CVO.
Mentre esiste sempre la possibilità che il Monte Sant’ Elena esploda di nuovo, sono più probabili eruzioni più modeste e meno distruttive.
L’eruzione del 1980 ha evidenziato, comunque, i potenziali pericoli dei vulcani attivi e ha fornito informazioni essenziali per i vulcanologi. Per la prima volta è stato possibile osservare il risveglio di un vulcano con moderne tecniche di monitoraggio, quali sismometri e immagini satellitari, per poter indagare meglio i segnali precursori che a volte precedono le grandi eruzioni esplosive.