La notizia è di pochi giorni fa: due ricercatori americani hanno descritto, in una nuova pubblicazione sulla rivista Science, un modello matematico che hanno loro stessi creato e che aiuterebbe non solo a predire ragionamenti pragmatici, ma che condurrebbe anche ed eventualmente alla produzione di macchinari e strumenti in grado di ragionare per deduzioni, capire il contesto in cui ci si trova e i ruoli sociali annessi. Insomma, si tratta di un passo avanti nell’ ideazione di computer emotivi, in grado di comprendere davvero quello che gli si sta dicendo, non in modo meccanico, solo parola per parola. Dei computer deduttivi che potrebbero aiutare chi ha particolari disturbi del linguaggio, ma non solo.
Il linguaggio è molto più che una sfilza di parole messa l’una dopo l’altra. Per capire cosa una persona intende dire, c’è bisogno anche di un contesto. Se per esempio si trova scritto sulla vetrina di un negozio “Bambino in saldo, solo per una settimana!” si può dedurre facilmente dalla situazione che il negozio non sta vendendo bambini, ma che si tratta di un annuncio pubblicitario che riguarda i prodotti scontati, specialmente per i più piccoli. Ma se si dovesse mostrare la situazione sopra descritta a un computer, molto probabilmente ci sarebbe un cortocircuito comunicativo. I computer infatti non sono attualmente molto bravi nella pragmatica, ovvero in quella branca del linguaggio che si occupa di come lo stesso venga utilizzato nelle situazioni sociali. Un paio di psicologi di Stanford hanno riflettuto a lungo su questo limite informatico. Così a lungo da mettere in atto i primi passi per un cambiamento.
In una nuova pubblicazione apparsa di recente sulla rivista Science, gli assistenti professori Michael Frank e Noah Goodman hanno descritto una teoria sulla pragmatica che promette di aiutare ad aprire le porte a sistemi di computer più umani, che siano in grado di usare il linguaggio in modo tanto flessibile quanto fanno gli uomini. Ma come può essere possibile tutto ciò? Il modello matematico che i due hanno creato aiuterebbe a predire ragionamenti pragmatici e porterebbe alla produzione di macchinari in grado di ragionare per deduzioni, capaci di capire il contesto e di individuare i ruoli sociali degli individui. Il lavoro svolto potrebbe aiutare i ricercatori a capire meglio ciò che ancora è ignoto sulla comunicazione e a trattare con persone che hanno particolari disordini del linguaggio.
Questo studio è doppiamente funzionale: potrebbe fare anche in modo le persone riescano a parlare con un assistente clienti computerizzato in maniera meno frustrante. “ Se vi è mai capitato di chiamare una compagnia aerea, sapete che la voce del computer riconosce le parole, ma non necessariamente arriva a capire quello che state dicendo”, ha detto Frank, “questa è la chiave del futuro per il linguaggio umano. In un certo senso, si tratta di capire quello che l’altra persona sta cercando di dire, non quello che in realtà sta dicendo”. Il lavoro di Frank e Goodman è parte di un più ampio percorso che i due ricercatori stanno portando avanti per capire il linguaggio attraverso l’utilizzo di strumenti matematici. Questo particolare orientamento si studio è lo stesso che ha portato allo sviluppo di tecnologie quali Siri, l’assistente personale di riconoscimento dei dialoghi presente nell’iPhone.
Ma è evidente che il trasformare dialoghi e linguaggio in numeri ha i suoi ostacoli. Primo fra tutti la difficoltà di formalizzare nozioni come “sapere comune” o “informaticità”. Queste questioni sono le prime a cui i due ricercatori hanno tentato di dare una soluzione. Gli stessi Frank e Goodsman hanno fatto una lista di 745 partecipanti per prendere parte a un esperimento on-line. Ai partecipanti veniva mostrato un insieme di oggetti, dopodiché veniva chiesto loro di scommettere quali tra quegli oggetti era connesso a una parola particolare. Per esempio, un gruppo di partecipanti vedeva un quadrato blu, un cerchio blu e un quadrato rosso. La domanda per quel gruppo era: immagina che stai parlando con qualcuno e che vuoi fare riferimento all’oggetto nel mezzo. Quale parola useresti, “blu” o “cerchio”? All’altro gruppo veniva chiesto invece: immagina che qualcuno ti stia parlando e che usa la parola “blu” per riferirsi a uno degli oggetti in questione. Di quale oggetto si sta parlando?
Un indovinello interattivo che sottende una ricerca ben precisa. “ Abbiamo fatto un modello su come un ascoltatore comprende una persona che parla, e come il parlante a sua volta decide cosa dire”, ha spiegato Goodman. I risultati hanno permesso ai due professori di creare un’equazione matematica per prevedere il comportamento umano e determinare la verosimiglianza nel riferirsi a un oggetto particolare. “Prima non si potevano prendere queste teorie informali di linguistica e infilarle in un pc. Ma ora stiamo cominciando a poterlo fare”, ha concluso il professore. I ricercatori stanno già applicando il modello per studiare su di un iperbole gli effetti del sarcasmo e altri aspetti del linguaggio. “Ci vorranno anni di lavoro, ma il sogno è quello di realizzare un pc che pensi davvero a cosa vuoi e che cosa intendi dire, piuttosto che a limitarsi solo a ciò che è stato detto”, ha detto Frank.