La vicenda relativa al Parco Nazionale di Yasuni, Ecuador, di cui Gaianews.it ha già parlato in precedenza, è un esempio di come le prospezioni e le estrazioni petrolifere non siano l’unica soluzione percorribile.
Il Parco, nominato Riserva della Biosfera dall’UNESCO nel 1989, si trova sopra un giacimento di petrolio che, se sfruttato, potrebbe consentire al Paese di crescere ad un ritmo sostenuto, imboccare la strada di un progresso che già diversi paesi dell’America Latina stanno garantendosi grazie ai petrodollari.
La possibilità di salvaguardare l’enorme patrimonio amazzonico senza limitare il rilancio dell’Ecuador è nelle mani del Presidente Correa e della comunità internazionale.
Atticora fasciata, Rio Tiputini, Yasuni National Park, Ecuador 8. Foto: Geoff Gallice, Fonte Wikipedia
Il finale alternativo alla trivellazione dello Yasuni ha numeri ben precisi: vengono versati nelle casse dello Stato 3,6 miliardi di dollari, pari al valore di metà giacimento e gestiti da un’agenzia di sviluppo delle Nazioni Unite, la UNDP. Di fatti le riserve sono stimate in 846 milioni di barili, circa 7 miliardi di dollari, in profondità, su di un’area estesa per 982.000 ettari.
La quota di salvataggio dovrà essere versata in tredici anni, ma il primo step si è concluso il 31 dicembre 2011 con un acconto di oltre cento milioni di dollari, provenienti da altri governi di paesi industrializzati e da privati.
Grazie a questa mossa potrà essere evitata l’emissione in atmosfera di circa quattrocento milioni di tonnellate di CO2 e preservato il Parco di Yasuni, contro la privazione di dieci giorni di consumi mondiali di petrolio.
Si parla di “Yasunizzazione”, un processo esportabile, che coinvolge gli interessi, a volte contrastanti, di governi, compagnie petrolifere statali e non, patrimoni naturali e cittadini.
Il petrolio è sicuramente fonte di sviluppo. Le royalty, le esportazioni, l’occupazione, sono fattori che trascinano velocemente, in alcuni casi sregolatemente, le sorti di un paese verso orizzonti economicamente migliori. Si tratta di un cospicuo giro di soldi. Chiedere agli altri Stati una copertura finanziaria per preservare una ricchezza universale è atto dovuto, il presidente ecuadoregno deve tutelare il valore di un tesoro come quello nascosto sotto il proprio Paese.
Il petrolio è la principale fonte di energia. La maligna distribuzione nel globo implica una serie di accordi, comportamenti, garanzie, che permettano di soddisfare le esigenze di tutti gli abitanti del pianeta. Impedire questo meccanismo è spesso visto come boicottaggio geopolitico. La vicenda Yasuni, per quanto molto in scala, impone un approfondimento. Fino a che punto si può rifiutare la coltivazione di un giacimento di idrocarburi? Occorre considerare il meccanismo delle esportazioni, le garanzie energetiche, la sostenibilità economica.
Il petrolio è fonte di inquinamento. La sua estrazione richiede l’allestimento di unità tecnologiche e logistiche. Il Parco dello Yasuni è un luogo delicato, ovviamente non il posto migliore dove perforare.
La scelta di lasciare il petrolio dove si trova da molti anni permette di ottenere garanzie economiche sancite da un accordo internazionale proprio per dare trasparenza; bisognerà vedere quanto queste garanzie saranno disinteressate.
I finanziamenti verranno in parte destinati alle energie rinnovabili e allo sviluppo sostenibile, incidendo quindi sulla politica energetica nazionale. La posizione forte della compagnia estrattiva nazionale sembra non aver ceduto il passo alle aziende straniere.
Infine l’ambiente, la salute e il Parco: sono i maggiori beneficiari dell’intera operazione. Operazione ancora sperimentale, ma che può rappresentare una valida alternativa ogni volta che si presenta la possibilità di emungere dal sottosuolo.