Il topolino Greenpeace la spunta contro il gigante ENEL. E a dichiarare la vittoria è il tribunale di Roma. Sembrava tanto un tentativo di censura quello di ENEL contro Greenpeace: la richiesta di 10.000 euro di rimborso al giorno più 1000 euro per ogni attivista impegnato nella capagna “Facciamo luce su Enel”. Invece il giudice di Roma non ha ritenuto la campagna diffamatoria, ma anzi aderente al nucleo di verità e coerente con le altre campagne dell’associazione ambientalista. Perciò ha condannato ENEl a rifondere le spese giudiziarie. Se fosse andata diversamente la somma richiesta da ENEL a Greenpeace avrebbe messo l’associazione, che si basa sulle donazioni dei sostenitori, in gravi difficoltà.
“Bollette sporche” una campagna partita ad aprile scorso, intendeva informare i cittatidini sul costo reale delle bollette dell’elettricità prodotta con le centrali a carbone dell’ENEL. Greenpeace ha commissionato la ricerca all’agenzia olandese SOMO che l’ha condotta con gli stessi criteri dell’Agenzia Europea per l’Ambiente.
I risultati son piuttosto inquietanti: un morto all’anno e 1,8 milioni di euro di spesa causate dall’utilizzo delle centrale elettriche a carbone. Su questi dati la campagna di Greenpeace ha previsto la consegna di oltre 100.000 “bollette sporche” ai cittadini per informali che “nelle loro case era nascosto un killer”.
E’ sulla forze di certe espressioni, come “killer” e “sporca verità”, che ENEL aveva poggiato la sua denuncia a Greenpeace dichiarando che le accuse erano infondate.
Ma è proprio su questo punto che il giudice di Roma ha basato la sua sentenza: nessuna bugia e nessuna infondatezza. Di più: i termini duri sono concessi proprio a causa della gravità della questione ambientale. “I dati riportati [da Greenpeace] sono effettivamente conformi agli esiti della ricerca commissionata da Greenpeace a SOMO relativamente ai danni provocati dalle centrali a carbone e già noti alla comunità scientifica internazionale (prima tra tutte l’Agenzia Europea per l’Ambiente, EEA)”. Lo stesso giudice ricorda poi nel dispositivo della sentenza che gli esiti della ricerca non “sono stati contestati dalle società ricorrenti [gruppo Enel] essendone peraltro l’Enel stata portata tempestivamente a conoscenza”. In altre parole, l’azienda non è in grado di smentire i dati di Greenpeace.
Il giudice ritiene quindi che “il nucleo essenziale della notizia riportata da Greenpeace è dunque conforme a verità…”, che “le espressioni utilizzate dalla resistente [Greenpeace] appaiono infatti non solo conformi all’importanza e all’interesse della tematica trattata, ma anche al contesto espressivo delle campagne di denuncia ambientale…” e che “la durezza delle espressioni è giustificata dalla gravità della tematica affrontata, dal suo rilevante interesse per l’opinione pubblica (oltre che per la comunità scientifica internazionale), dalla funzione tipicamente di denuncia dell’associazione resistente …”. Secondo il giudice “i termini killer, vittima, crimine, sporca verità e quanto altro indicato […] configurano un linguaggio, nell’intero contesto, adeguato all’importante iniziativa di denuncia ambientale…”.
Il Fatto Quotidiano aveva riportato le dichiarazioni di Greenpeace riguardo alla questione mentre l’indagine del tribunale era ancora in corso: Greenpeace dichiarava che non c’era stata da parte di Enel nessun tentativo di incontrarsi e di mediare e discutere sull’argomento.
L’obiettivo di Greenpeace attraverso queste campagne è quello di aprire un dialogo con le multinazionali o le grande aziende affinchè adottino dei comportamenti più sostenibili. Ma in questo caso ENEL non solo non si è seduta al tavolo della mediazione, ma ha provato a reagire con la forza.
Enel ricorrerà sicuramente in appello e dichiara: “Continuiamo a ritenere che la campagna di aggressione avviata da Greenpeace nei confronti della nostra azienda sia gravemente diffamatoria e priva di fondamento. Quali siano i limiti alle emissioni delle attività industriali non lo stabiliscono né le imprese né le associazioni private ma le istituzioni. L’Europa e l’Italia hanno fissato soglie molto rigorose a tutela della salute e dell’ambiente. Le centrali di Enel non solo rispettano questi limiti, ma in molti casi li hanno ulteriormente ridotti grazie a ingenti investimenti nelle più avanzate tecnologie di abbattimento delle emissioni, compresa la cattura e sequestro dell’anidride carbonica. Enel ha già ridotto le emissioni per chilowattora prodotto di CO2 del 34% rispetto al 1990, anno di riferimento del Protocollo di Kyoto. Per quanto riguarda le polveri, la riduzione ottenuta nel 2011 rispetto al 2010 supera il 25 %”. Quanto all’uso del carbone per generazione termoelettrica, la società segnala che in Italia si produce con questo combustibile solo il 12% dell’energia elettrica prodotta con Enel contro una media europea di oltre il doppio con punte come in Germania fino a quasi il 50%. “Enel, infine è tra le utility globali una delle più impegnate sul fronte delle fonti rinnovabili. La controllata Enel Green Power ha un programma di investimenti entro il 2016 di 6,4 miliardi di euro che ha ben pochi paragoni al mondo”.
Ecco gli stessi dati analizzati da Greenpeace: “Enel è il maggior emettitore in Italia di CO2: 36,8 milioni di tonnellate emesse nel 2011 e il quarto emettitore in Europa (78 milioni di tonnellate). Enel, in Italia, emette una quantità di anidride carbonica pari alla somma delle emissioni attribuite al comparto dell’acciaio e del cemento, circa il 55% in più di quanto attribuito ai grandi gruppi di raffinazione.”
Greenpeace è una grande associazione ambientalista, e le sue azioni sono sempre meritevoli di grande attenzione… però sarebbe anche oppurtuno che apparisse nei titoli dei giornali anche quando viene apertamente contestata, come nel caso della campagna contro il carbone utilizzato per alimentare l’iCloud di Apple (http://www.creuzanews.com/?p=1459)… Greenpeace accusa Apple di alimentare la sua nuvola con le fonti sporche, ma la metodologia utilizzata per calcolare i consumi energetici di Cupertino non convince: non sarebbe il caso di dare spazio anche a questo dibattito, invece di fare apparire Greenpeace sempre e solo dalla parte del giusto?