Il 7 giugno 2010 una corte in India ha condannato 7 persone per omicidio colposo in un processo per il disastro ambientale causato da un incidente in una fabbrica di prodotti chimici nel 1984 a Bophal. Queste sono le prime condanne legate all’evento che ha ucciso circa 19.000 persone; altre 50.000 sono rimaste disabili in modo permanente a causa della loro esposizione a gas tossici che sono stati rilasciati nell’ambiente.
Gli imputati, insieme ad una persona che è morta negli anni successivi ed è stata condannata in absentia, sono tutti vecchi impiegati della compagnia americana Union Carbide. Ogni imputato è stato condannato a due anni di reclusione e ad una multa di 2100 dollari.
La compagnia ha pagato un risarcimento di 470 milioni di dollari al Governo indiano nel 1989.
Il disastro continua a essere al centro dell’attenzione su come si sono svolte le procedure di indagine e sul risultato di questa battaglia legale. Il Ministro della Giustizia indiano, Veerappa Moily, ha indicato il lungo tempo che ci è voluto per la conclusione di questo caso come un esempio di inefficienza nella gestione di fatti di questo tipo.
“Vorrei dire che il disastro di Bhopal è più di un omicidio, e questo tipo di negligenza non può essere lasciata impunita. Ci sono molte cose da imparare da questo, e non dovremmo pensare che i fatti accaduti possano essere interpretati in un modo diverso. Questo è uno di quei casi in cui la giustizia è stata ritardata e praticamente negata. Oserei dire che la giustizia qui è stata sepolta. Un disastro di questo tipo deve gestito in modo corretto. Dobbiamo rivedere le procedure in modo che casi come questo non possano ripertersi”, ha detto Veerappa Moily in una dichiarazione riportata da INDIA TODAY lo scorso 7 giugno 2010.
Altri hanno criticato la leggerezza delle condanne. “Due anni di carcere non significano far giustizia quando così tante persone sono morte” ha detto un ingegnere in uno speciale della BBC (Bhopal Voices: ‘Justice Denied,’ BBC NEWS, 7 giugno 2010). Molti hanno espresso l’opinione che Warren Anderson, l’amministratore delegato della Union Carbide al tempo del disastro, dovrebbe essere indagato. (INDIA TODAY, 7 giugno 2010).
Considerando che l’area inquinata non è mai stata bonificata, il conto delle vittime “ufficiali” è alquanto riduttivo e la sentenza, a di poco clemente.